SERMONE SUL CANTICO DEI CANTICI DI SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE

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SERMONE XXXVI

I. Le due ignoranze; quale ignoranza non è colpevole. II. La duplice scienza e i tre modi del sapere, cioè l’ordine, l’attenzione, il fine. III. I cinque aspetti della finalità del conoscere; similitudine del cibo e della scienza. IV. Che cosa è bene che l’anima sappia prima di tutto; in quante cose essa sia scarsa; esortazione ai pigri.

I. 1. Eccomi a quanto avevo promesso; eccomi ai vostri desideri, eccomi anche a Dio, per rendergli il dovuto servizio. Come vedete, tre ragioni mi spingono a parlare: la fedeltà alla promessa, la carità fraterna e il timore del Signore. Se taccio la mia bocca mi condannerà. E se parlo? Veramente temo il medesimo giudizio se parlo e non taccio, e sarà ancora la mia bocca a condannarmi. Aiutatemi con le vostre preghiere, affinché possa sempre dire quel che si deve, e mettere in pratica le cose che dico. Voi sapete che oggi ci eravamo proposti di parlare dell’ignoranza, o piuttosto, delle ignoranze; poiché di due, se ben ricordate, si trattava: ignoranza di noi stessi e ignoranza di Dio; e abbiamo già avvertito che l’una e l’altra si devono evitare, perché entrambe sono degne di condanna. Rimane da spiegare questo con maggiore chiarezza, dandone una spiegazione più esauriente. Ma prima penso che ci si debba domandare se ogni ignoranza sia da condannare. A me veramente sembra di no, perché non ogni ignoranza è causa di dannazione, e vi sono invece molte e innumerevoli cose che si possono ignorare senza pregiudizio della salvezza. Per esempio, se ignori l’arte del fabbro, o del carpentiere, o del muratore, o altro del genere, che vengono esercitate dagli uomini a uso della vita presente, costituisce forse questo un impedimento alla salvezza? Anche senza tutte quelle arti che si chiamano liberali,sebbene si imparino e si esercitino con studi più onorevoli e più utili, quanti uomini si sono salvati, piacendo a Dio con i costumi e con le opere: quanti ne enumera l’Apostolo nella lettera agli Ebrei, resi amati non dalla scienza delle lettere, ma dalla coscienza pura e dalla fede sincera. Tutti piacquero a Dio nella loro vita, e per merito della condotta, non della scienza. Pietro e Andrea, e i figli di Zebedeo, e tutti gli altri discepoli non furono chiamati dalla scuola dei retori o dei filosofi; e tuttavia il Salvatore per mezzo loro ha salvato il mondo. Non per la sapienza, quasi che in essi ve ne fosse più che in tutti gli altri, come un Santo ha potuto dire di se stesso, ma nella fede e nella mansuetudine li ha fatti salvi, e anche santi, e anche maestri. Difatti fecero conoscere al mondo le vie della vita non con sublimi discorsi o con parole piene di sapienza umana, ma come piacque a Dio, che volle salvare i credenti con la stoltezza della loro predicazione, perché il mondo con la sua sapienza non lo conobbe.

2. Sembrerà forse esagerato nel parlar male della scienza, quasi rimproverassi i dotti e proibissi gli studi letterari. Niente affatto. Non ignoro quanto siano stati e siano di giovamento alla Chiesa i suoi dotti, sia per confutare coloro che sono dall’altra parte, sia per istruire i semplici. E poi ho letto: Poiché tu rifiuti la scienza, rifiuterò te come mio sacerdote (Os 4,6); e ancora: I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento, e coloro che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come stelle per sempre (Dn 12,3). Ma so anche dove ho detto: La Scienza gonfia (1 Cor, 8,1) e di nuovo:Chi accresce il sapere, aumenta il dolore (Eccli 1,18). Vedete come differiscono le scienze, e come l’una gonfi mentre l’altra rattrista. Ma vorrei che voi mi diceste quale di queste vi sembra più utile o necessaria alla salvezza: quella che gonfia o quella che duole? Ma non dubito che preferiate quella che fa soffrire a quella che gonfia: il gonfiore infatti simula la sanità, mentre il dolore la richiede. E chi chiede si avvicina alla salvezza, perché chi chiede riceve(Lc 11,10). Infine colui che risana i contriti di cuore ha in orrore i gonfi di superbia, come dice Paolo: Dio resiste ai superbi, ma dà la grazia agli umili(Gc 4,6). E soggiunge: Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non vogliate essere saggi più di quel che conviene, ma siatelo con moderazione (Rm 12,3). Non vieta di essere saggi, ma di esserlo più del conveniente. Che significa essere saggio con moderazione? Significa osservare molto attentamente che cosa convenga maggiormente e in primo luogo sapere. Il tempo infatti è breve. Pertanto ogni scienza di per sé è buona, purché sia appoggiata alla verità; ma tu che, data la brevità del tempo, ti affretti con timore e tremore a operare la tua salvezza, preoccupati di conoscere maggiormente e in primo luogo le cose, che avrai sentito più vicine alla salvezza. Non stabiliscono forse i medici del corpo la parte di medicina da prendere prima, che cosa dopo, e in che modo? Perché, anche se è vero che i cibi creati da Dio sono buoni, se nel prenderli tu non osservi il modo e l’ordine, te li rendi non buoni. Dunque, quello che dico dei cibi, sentitelo riguardo alle scienze.

3. Ma è meglio che vi rimetta al Maestro. Non sono infatti mie le parole che sto per citare, ma di lui; anzi, anche mie, perché della Verità: Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere (1 Cor 8,2). Vedete come non importa sapere tante cose, se non si sa il modo di saperle. Vedete, dico, come l’Apostolo fa dipendere il frutto e l’utilità della scienza dal modo. Che cosa dice dunque circa questo modo di sapere? Egli spiega con quale ordine, con quali sentimenti, per quale fine bisogna imparare. Con quale ordine cioè si studi prima ciò che è più urgente per la salvezza; con quali sentimenti: si cerchi con più ardore ciò che spinge con più forza all’amore; con quale scopo: che non si cerchi la vanagloria o la curiosità, o nulla di simile, ma solo l’edificazione propria e del prossimo.

III. Vi sono infatti coloro che vogliono sapere soltanto per sapere: ed è una turpe curiosità. E vi sono di quelli che vogliono sapere per esser conosciuti: ed è turpe vanità. Questi tali non eviteranno le beffe del Satirico che canta loro:

Il tuo sapere è nulla,

se non che un altro sappia che tu sai (Persio, Sat. I,27).

Così vi sono coloro che vogliono sapere per vendere la loro scienza, o per procurarsi denaro od onori: ed è un turpe guadagno. Ma vi sono anche quelli che vogliono sapere per edificare: e questa è carità. E vi sono ancora altri che vogliono sapere per edificarsi: e questa è prudenza.

4. Di tutti questi, solo gli ultimi due non abusano della scienza, in quanto vogliono sapere per fare del bene. Hanno buon intelletto tutti quelli che fanno il bene (Sal 110,10). Tutti gli altri ascoltino questo: Chi conosce il bene e non lo fa, commette peccato (Gc 4,17), come se dicesse con un esempio: a chi prende cibo, fa male se non lo digerisce. Poiché il cibo indigesto e quello che non è ben cotto, produce cattivi umori e corrompe il corpo invece di nutrirlo. Così è la molta scienza ingerita dallo stomaco dell’anima, che è la memoria, se non è cotta con il fuoco della carità, e attraverso certe articolazioni dell’anima, cioè i costumi e gli atti, trasfusa e digerita, in quanto viene resa buona dai beni che conosce, come ne fa fede la vita e i costumi; non verrà forse quella scienza considerata come peccato, come un cibo che si trasforma in cattivi e nocivi umori? Non sono forse cattivi umori i costumi corrotti? Non soffrirà enfiagione e contorcimenti nella coscienza un uomo di tal fatta, cioè che conosce il bene e non lo fa? Non sentirà in se stesso una sentenza di morte e di dannazione ogni qual volta gli verranno in mente le parole del Signore, che il servo che conosceva la volontà del suo padrone e non ha agito secondo essa riceverà molte percosse? Forse in persona di tali anime il Profeta piangeva, dicendo: Mi duole il ventre, mi duole il ventre (Ger 4,19). Se non che la frase ripetuta fa pensare a un doppio senso, perciò, oltre quello già detto, ne cerchiamo un altro. Penso che il Profeta ha potuto dire questo nella sua persona, che cioè pieno di scienza e ardente di carità, e oltremodo bramoso di sfogarsi, non trovasse qualcuno che si degnasse di ascoltarlo; e così la sua scienza gli era come di peso, non potendola comunicare. Piange pertanto il pio Dottore della Chiesa sia quelli che non si curano di sapere come debbano vivere, sia quelli che pur conoscendolo vivono però malamente, e per il fatto che il Profeta ripete due volte le stesse parole,

5. si può già capire come sia vero quello che ha detto l’Apostolo, che la scienza gonfia.

IV. Voglio che prima di tutte le altre cose l’anima conosca se stessa, e questo per una ragione di utilità e di ordine. Di ordine, perché ciò che noi siamo è la prima cosa che ci interessa; di utilità, perché tale conoscenza non gonfia, ma umilia ed è una certa preparazione a edificare. L’edificio spirituale non può affatto reggere se non sullo stabile fondamento dell’umiltà. Ora, per umiliarsi, l’anima non può trovare nulla di più efficace o adatto che trovare se stessa in verità: soltanto non dissimuli, non ci sia nel suo spirito inganno alcuno, ponga se stesa davanti alla sua faccia, né si lasci stornare da questa visione. Guardandosi così alla luce della verità, si troverà senz’altro nella regione della dissomiglianza, e sospirando nella sua miseria, non potendole sfuggire ormai che sia misera veramente, griderà con il Profeta al Signore: Nella tua verità mi hai umiliato (Sal

118,75). E come non si umilierà veramente in questa vera cognizione di sé, vedendosi carica di peccati, gravata dal peso di questo corpo mortale, implicata nelle faccende terrene, infetta dalla feccia dei desideri carnali, cieca, curva, inferma, implicata in molti errori, esposta a mille pericoli, trepidante per mille timori, ansiosa per mille difficoltà, aperta a mille sospetti, addolorata da mille bisogni, proclive ai vizi, inetta alle virtù? Come potrà ormai questa levare con arroganza gli occhi, alzare la testa? Non si ravvolgerà piuttosto nella sua miseria, mentre il dolore la trafigge come spina? Si convertirà, dico, alle lacrime, al pianto e al gemito, si convertirà al Signore, e nella, sua umiltà griderà: Risana l’anima mia, contro di te ho peccato (Sal 40,5). Rivoltasi pertanto al Signore, riceverà la consolazione, perché egli è il Padre delle misericordie, e il Dio di ogni consolazione.

6. Quanto a me, fino a che guardo in me stesso i miei occhi sono pieni di amarezza (Gb 27,2). Se poi guardo in alto e levo i miei occhi all’aiuto della divina misericordia, la lieta visione di Dio viene subito a temperare l’amara vista di me stesso, e dico a Dio: In me si abbatte l’anima mia, perciò ditemi ricordo dal paese del Giordano (Sal 41,7). Non è piccola cosa la visione di Dio, sperimentare la sua pietà e condiscendenza alle nostre preghiere, come è davvero benigno e misericordioso, come la sua bontà è superiore alla nostra malizia; la sua natura, infatti è bontà, ed è proprio di lui aver sempre pietà e perdonare. Con tale esperienza e con tale ordine, Dio si fa salutarmente conoscere all’uomo che avrà prima conosciuto se stesso: riconoscendosi nella necessità alzerà il suo grido al Signore, ed egli lo esaudirà e gli dirà: Io ti salverò e tu mi darai gloria (Sal 49,15). In questa maniera la cognizione di se stesso sarà come gradino alla conoscenza di Dio; e dalla sua immagine che in te si rinnova potrai vedere lui, mentre, contemplando a faccia scoperta la gloria del Signore con fiducia, vieni trasformato nella stessa immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.

7. Ma ormai comprendiamo come l’una e l’altra conoscenza ci è necessaria alla salvezza, di modo che non puoi salvarti senza l’una o l’altra. Se infatti ignori te stesso non hai il timore di Dio in te, non hai l’umiltà. Si può forse presumere di salvarsi senza il timore di Dio e senza l’umiltà? Avete fatto bene a indicare con il vostro mormorio che lo capite, anzi, che non siete talmente insipienti da credere possibile questo, e così non perdiamo tempo a dimostrare una cosa così evidente. Ma aspettate il resto. O piuttosto dobbiamo arrestarci a causa dei sonnolenti? Speravo di finire con un sermone quanto avevo promesso riguardo alla duplice ignoranza, e l’avrei fatto se non sembrassi troppo lungo agli annoiati. Vedo infatti alcuni che sbadigliano e altri che sonnecchiano. Non fa meraviglia: la notte scorsa le vigilie sono state lunghissime, e questo serve loro di scusa. Ma che cosa devo dire a quelli che allora hanno dormito, e dormono anche ora? Ma non mi fermo di più a provocare la loro vergogna: basta avervi accennato. Spero che in avvenire staranno più svegli, per timore della scottatura delle nostre osservazioni. Con questa speranza ci mostriamo benevoli per questa volta; e dividiamo in due parti, per carità verso di loro, l’argomento che la ragione voleva venisse continuato, sospendendo la trattazione, e ponendo fine dove non era la fine. Coloro poi che furono l’oggetto di tale indulgenza, glorifichino con noi lo Sposo della Chiesa, nostro Signore, che è Dio benedetto nei secoli. Amen.

CONTINUA…

FONTE:https://www.monasterovirtuale.it/s-bernardo/sermoni-sul-cantico-dei-cantici-i-xliii.html

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