Nel corso dei miei studi ho avuto la possibilità di approfondire un argomento tanto importante quanto spesso sottovalutato e per questo, credo, colpevolmente trascurato. Vorrei infatti discutere con voi del rapporto che intercorre tra la nostra cultura, la nostra educazione, l’idea che abbiamo della nostra stessa intelligenza, e il nostro cammino spirituale, la nostra fede, la vita con Cristo.
Mi è capitato di studiare le idee che su questo punto hanno espresso diversi pensatori cristiani dell’ottocento, in particolare John Acton e il cardinale Newman.Premetto subito: il discorso non è meramente intellettuale, non è una questione filosofica. Rischia di diventarlo, me ne rendo conto, ma proprio per questo è necessario uno sforzo in più, proprio per arrivare a comprendere fino a che punto l’argomento tocca la nostra vita nel concreto, e io credo nel suo nucleo più profondo.
La tesi che cercherò di argomentare è questa: La cultura, l’educazione, lo stesso modo che abbiamo di insegnare, si possono e si devono ergere a difesa della concezione originaria del divino. Perché questo possa avvenire si deve innanzitutto riconoscere che la conoscenza forma una unità perché il suo SOGGETTO è uno, essendo infatti questo l’elemento continuamente innovativo della religione cristiana, e cioè che il creatore è strettamente presente nella creatura. E se questa creatura, il suo ambiente, la sua storia, diventano in tal modo gli OGGETTI di studio, da qualsiasi punto di vista li si voglia guardare, allora non li si potrà comprendere profondamente senza prima comprendere come Dio si manifesta in essi.
Delineando le caratteristiche del pensiero di Acton mi sembra vi sia un tema sempre ricorrente ma mai del tutto esplicitato, quello della critica ad ogni teoria, ma anche semplice modo di pensare degli individui, caratterizzati dal dominio del relativismo. E’ questa una delle grandi problematiche dei nostri tempi, per cui si confonde con la tolleranza e con il rispetto, l’impossibilità dell’esistenza di opinioni certe ed oggettive, valide per chiunque in ogni luogo.
Sull’importanza del giudizio morale insisterà il cardinale Newman nella sua opera “Idea di Università” collegandola al concetto di limite. Il fulcro del pensiero di Newman si costruisce intorno all’esistenza di un principio spirituale che non si identifica semplicemente con la mera assimilazione degli elementi dell’esperienza naturale, ma attraverso la sua capacità creativa prende coscienza di se stesso e della propria posizione nella realtà che lo circonda. Il cardinale polemizza contro una certa concezione dell’insegnamento universitario che esclude lo studio della teologia; infatti semplicemente ammettendo l’esistenza di un Dio si introduce un argomento della conoscenza che non può non racchiudere e comprendere qualsiasi altra sfera del sapere; per questo un insegnamento serio non può dividere la conoscenza umana e divina in due compartimenti stagni. Se si pone la metafisica su di un ordine diverso dalla fisica, allora anche le altre scienze umane saranno scollegate tra loro, sarà impossibile ricondurle ad un principio unitario e tutto il sapere secolare sarà ridotto in frammenti.
Se un insegnamento vuole davvero dirsi universale, allora non si può prima affermare che alcuni principi religiosi corrispondano a verità e poi ignorarli quando si tratta di includerli tra le scienze studiate, motivando questa decisione con la considerazione che nulla di certo possa essere affermato sull’Essere Supremo e che perciò non abbia diritto di essere considerato come un’ aggiunta reale all’insieme della conoscenza generale. In realtà però la ragione profonda di questa esclusione sta nel fatto che gli uomini stessi, responsabili dell’istituzione universitaria, credono che questi fatti siano vuoti di verità, che non siano veri nel senso generale di tale termine, come lo può essere la legge che spiega la caduta di un sasso verso la terra; ci si nasconde dietro difficoltà derivanti dalla diversità di opinioni religiose per creare un’ idea della religione e del Divino strettamente privata, scollegata dalla ragione, arrivando dunque ad affermare implicitamente che nulla possa essere realmente conosciuto circa l’origine del mondo o il fine dell’uomo.
E’ lo stesso ambiente religioso che non ancòra il proprio credo ad un dato certo ed oggettivo, ma ne fa il frutto del gusto o del sentimento “Il fondo della questione era questo , che la Religione era basata sulla consuetudine, sul pregiudizio, sulla legge, sull’abitudine, sul feudalesimo, sulla convenienza illuminata, su molte, molte cose, ma in nessun modo sulla ragione; e la scienza aveva tanto poco rapporto con essa quanto con gli umori stagionali, o lo stato del tempo” .
Se si riduce Dio ad un correlato delle leggi Naturali che dominano l’Universo, che si esprime solo attraverso di esse, se lo si rende un’impressione mentale frutto del riflesso dei fenomeni del mondo materiale, allora la religione stessa, l’intera spiritualità umana, si identifica con un semplice sentimento gratificatorio, non dissimile da ciò che Locke chiamava “piacere”, ricadendo nel circolo vizioso per cui l’intelletto ricerca un principio unitario su cui fondare se stesso e la sua coscienza, e finisce per trovarlo nella propria natura e nei propri bisogni più elementari.
la mentalità che viene qui criticata porta a delle conseguenze assurde e aberranti, viene infatti osservato con apprensione come un professore universitario del tempo tenda ad identificare ogni atto umano con la forza innata dell’universo fisico e a condannare qualsiasi agente spirituale nella sfera dell’inconoscibile, dell’indeterminato; si limita così a parlare di ciò che egli crede tangibile e sicuro, facendo identificare questa sicurezza con le cause fisiche conosciute dal suo particolare insegnamento. Il risultato è che la sua arte usurpa e occupa l’universo, cancella la causalità divina dal mondo reale, non è solo perdita della teologia, è anche perversione di ogni altra scienza, che esce dal proprio ambito per occupare il vuoto lasciato dal divino, ed il particolare diventa il giudice del generale, del tutto.
Ma quale deve essere allora lo scopo ultimo di una buona educazione? Ci viene detto da Newman che esso consiste nella creazione di una “cultura intellettuale”, e cioè nella capacità dell’intelletto di porsi in maniera dinamica ed attiva nei confronti delle idee che l’esperienza trasmette all’uomo, è necessario superare lo stadio della semplice accoglienza passiva di esse per arrivare a conferire ordine e sostanza all’oggetto della nostra conoscenza. Questa capacità consiste nel poter porre in riferimento il presente con il passato, le acquisizioni della memoria con la testimonianza del presente, in poche parole dunque, il trovare un significato globale alla storia della nostra conoscenza, che diviene conoscenza delle relazioni. L’ampiezza mentale che ne deriva protegge lo studioso, ma anche l’uomo qualunque, dai traviamenti che derivano dal particolarismo: “essa ( la ragione illuminativa ) colloca la mente al di sopra degli influssi del caso e della necessità, al di sopra dell’ansietà, della indecisione, dell’instabilità e della superstizione, che sono il retaggio dei più. Gli uomini la cui mente è ossessionata da un solo oggetto si fanno delle idee esagerate della sua importanza, lo ricercano febbrilmente, ne fanno la misura di cose che gli sono estranee, e cadono nell’agitazione e nella disperazione se per caso non possono raggiungerlo”. Un intelletto ben educato, al contrario, è capace di pensare mentre conosce, di attendere il momento in cui tutte le parti potranno essere messe al loro posto, rivelando il senso centrale dell’oggetto di studio, un modo di approcciarsi alla realtà che non è parziale e quindi non esclusivo, che riesce a comprendere il ruolo di ogni momento del proprio cammino.
Per il momento concluderei qui, l’argomento è vasto e credo meriti di essere approfondito insieme. Mi ripeto, non sono elucubrazioni mentali, non è una questione culturale fine a se stessa, riguarda la nostra vita di fede. Influenza fortissimamente aspetti vivi del nostro cammino insieme, a partire dal messaggio che lanciamo ai ragazzi che siamo chiamati ad aiutare a crescere, e che sempre di più percepiscono lo studio e la loro educazione solo come un peso da cui doversi liberare in fretta.
Aspetto vostri pensieri parole e opere, possibilmente non le omissioni 🙂 .
Miro