Archive for the ‘Dialogo’ Category
La Madonna di Guadalupe e i misteri della Tilma
7 marzo 2018Primo giorno di Papa Francesco in Cile
17 gennaio 2018Cile, omelia di Papa Francesco nella Messa celebrata nel Parque O’Higgins
Sì, beato tu e tu, beati voi che vi lasciate contagiare dallo Spirito di Dio e lottate e lavorate per questo nuovo giorno, per questo nuovo Cile, perché vostro sarà il regno dei cieli. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» Di fronte alla rassegnazione che come un ruvido brusio mina i nostri legami vitali e ci divide, Gesù ci dice: beati quelli che si impegnano per la riconciliazione.
La giustizia è esigere che ogni uomo sia trattato come uomo
Gesù quindi chiama “beati” coloro che si sporcano le mani perché altri vivano in pace. “Desideri la pace? Lavora per la pace”, sintetizza Papa Francesco che richiama il pensiero del cardinale Raul Silva Henríquez. Il porporato ricordava che la giustizia non consiste solo nel non rubare ma nell’esigere che ogni uomo sia trattato come uomo.
La pace si semina, infatti, “a forza di prossimità”, a forza di andare incontro a chi si trova in difficoltà e a volte bisogna vincere “grandi o sottoli meschinità” e ambizioni – ricorda – e non basta dire: “non faccio del male a nessuno”. Diceva il cileno San Alberto Hurtado: “va molto bene non fare il male, ma è molto male non fare il bene”.
Discorso di Papa Francesco al Centro Penitenciario Femenino di Santiago del Cile
Il discorso di Papa Francesco al Centro Penitenciario Femenino di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018
Discorso di Papa Francesco ai Sacerdoti e Religiosi del Cile
La parole di Papa Francesco nell’incontro con i Sacerdoti, Religiosi/e, Consacrati e Seminaristi nella Cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018.
Discorso di Papa Francesco ai Vescovi cileni
Le parole di Papa Francesco nell’incontro con i Vescovi nella Sagrestia della Cattedrale di Santiago del Cile, 16 gennaio 2018
Un minuto per la pace: preghiera interreligiosa in tutto il mondo
8 giugno 2017
Un minuto per la pace” è l’odierna iniziativa di preghiera interreligiosa per ricordare il terzo anniversario dello storico incontro tra Papa Francesco e i presidenti di Israele, allora era Shimon Peres, e di Palestina, Mahmoud Abbas, tenutosi in Vaticano l’8 giugno 2014. Per rilanciare il messaggio di quella giornata e tornare a invocare il dono della pace, il Forum internazionale di Azione Cattolica (Fiac) ha invitato tutti a fermarsi per un minuto – è successo alle ore 13 – ognuno secondo la propria tradizione religiosa, pregando per la pace, purtroppo ancora spezzata o minacciata in diverse regioni del mondo. L’appuntamento è stato ricordato ieri anche dal Papa all’udienza generale. Federico Piana ha intervistato Michele Tridente, vicepresidente di Azione Cattolica italiana:
Papa in Svezia, conferenza stampa volo di ritorno, 01-11-2016
2 novembre 2016Il Papa in aereo: un rifugiato va accolto ma anche integrato
Sul volo di ritorno dalla Svezia, Papa Francesco ha parlato con i giornalisti molti temi, tra i quali migranti e tratta, secolarizzazione e sacerdozio femminile, ecumenismo , mondanità spirituale e volontariato in Italia.
Papa Francesco Viaggio Georgia Arzebaijan conferenza stampa 02-10-2016
4 ottobre 2016Risolviamo i problemi con la misericordia di Dio e nella verità
A conclusione del suo 16.esimo viaggio apostolico, durante il volo Baku-Roma, Papa Francesco si è intrattenuto con i giornalisti per la consueta conferenza stampa. Dall’inviata Barbara Castelli.
Papa in Azerbaijan, incontro interreligioso 02.10.2016
4 ottobre 2016Basta violenza in nome di Dio. Le religioni siano albe di pace
Papa Francesco ha concluso il suo pellegrinaggio in Azerbaijan incontrando lo sceicco dei musulmani del Caucaso, Allahshukur Pashazadeh, e diversi rappresentanti delle altre comunità religiose del Paese, nella moschea Heydar Aliyev. Dall’inviata Barbara Castelli.
Il Papa tra i bambini dell’ospedale San Giovanni
17 settembre 2016Il Papa tra i bambini dell’ospedale San Giovanni
Questo pomeriggio Papa Francesco ha compiuto l’ormai tradizionale “Venerdì della Misericordia”. A pochi giorni dalla canonizzazione di Madre Teresa, che ha svolto un grande servizio a favore della vita, Papa Francesco ha visitato due strutture fortemente significative. Lo riporta il bollettino della sala stampa della Santa Sede. La prima visita è stata riservata dal Papa al pronto soccorso e al reparto di neonatologia dell’Ospedale San Giovanni di Roma, dove al momento sono ricoverati circa 12 bambini con varie patologie neonatali. Cinque bambini (di questi, due sono gemelli) sono molto gravi e si trovano intubati in terapia intensiva. Al piano superiore del reparto si trova un nido dove sono ricoverati altri bambini. Accolto con stupore dal personale, il Papa entrando nel reparto ha dovuto come tutti mettere la mascherina e sottoporsi a tutte le precauzioni igieniche per il rispetto degli ambienti asettici. Il Santo Padre si è soffermato presso ogni incubatrice ed ha salutato i genitori presenti, dando loro conforto e coraggio. Di seguito il Papa si è recato all’Hospice “Villa Speranza” dove sono ricoverati 30 pazienti in fase terminale. La struttura – che appartiene alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – si trova a Roma in via della Pineta Sacchetti. Al suo arrivo, i responsabili hanno dato il benvenuto al Papa, che ha desiderato salutare uno per uno nella loro stanza ogni paziente. Sorpresa fortissima da parte di tutti, pazienti e parenti, che hanno vissuto momenti di intensa commozione tra lacrime e sorrisi di gioia. Con questo “Venerdì della Misericordia” – conclude la nota – il Santo Padre ha voluto dare il segno forte dell’importanza della vita, dal suo primo istante fino alla sua fine naturale. L’accoglienza della vita e la garanzia della sua dignità in ogni momento dello sviluppo è un insegnamento più volte sottolineato da Papa Francesco, che con questa duplice visita ha impresso il sigillo concreto e tangibile di quanto fondamentale sia – per vivere la misericordia – l’attenzione alle situazioni più deboli e precarie.
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Festival dei ragazzi, mons Galantino: guardare oltre la parrocchia
11 settembre 2016
2016-09-11 Radio Vaticana
Il dialogo tra giovani e istituzione per una città e un mondo più vivibile è stato al centro dell’incontro “A noi la parola”, che si è svolto in aula Paolo VI in Vaticano. Circa mille i giovani dell’Azione Cattolica Ragazzi presenti, provenienti da oltre cento diocesi italiane. Assente il sindaco di Roma Virginia Raggi, che ha annullato la sua partecipazione per motivi personali. II servizio di Michele Raviart:
Una città vivibile, in cui sia possibile avere cura di spazi, in cui stanno bene tutti, dalla casa, alle aree verdi, alla parrocchia, e contro chi pretende di cambiare il mondo secondo egoismi personali. Una visione, quella presentata dai ragazzi dell’Azione Cattolica, che presuppone un dialogo virtuoso tra giovani e istituzioni, come ha spiegato mons. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che non si è detto deluso dall’assenza del sindaco di Roma, Virginia Raggi.
“Sono venuto qui per un altro motivo e non per incontrare gli amministratori di Roma: sono venuto qui per ascoltare i ragazzi. Questa è la cosa fondamentale! Penso che la cosa più bella, la cosa più importante sia quando noi, tutti quanti – istituzioni ecclesiastiche e istituzioni anche civili, amministratori – ci mettiamo in ascolto dei ragazzi, perché i ragazzi, i giovani probabilmente sono meno ideologizzati di noi e quindi hanno anche la capacità di trasmetterci i loro sogni, le loro attese, i loro bisogni”.
Per l’amministrazione capitolina è intervenuto, invece, l’assessore alle politiche sociali Laura Baldassarre, che ha ribadito l’importanza che i ragazzi hanno posto sulla cura della persona e dell’ambiente:
“I ragazzi, qui, hanno detto che prima di tutto bisogno pensarla la città e poi realizzarla. Loro ci ricordano le cose importanti: l’importanza di non essere soli, di avere posti di aggregazione, luoghi dove incontrarsi. Noi stiamo lavorando per Roma e siamo una squadra al lavoro per Roma”.
L’incontro, che è stato preparato per un anno da ragazzi tra i 7 e i 14 anni, risponde all’invito di Papa Francesco a diventare una “Chiesa in uscita”. Lo ha ricordato lo stesso mons. Galantino: “Non basta stare in parrocchia, bisogna vedere cosa c’è intorno e lontano”. Matteo Truffelli, responsabile nazionale dell’Azione Cattolica:
“Questi sono ragazzi che, come tutti i ragazzi, sanno sognare e sanno anche pensare insieme e costruire insieme quello che noi chiamiamo ‘bene comune’. Per i ragazzi, come per i giovani e come per gli adulti, i ragazzi sono la Chiesa in uscita, perché sono la Chiesa che vive nella città, che vive nelle strade, che vive nelle scuole, che vive nei quartieri. Lì vive la Chiesa e vive innanzitutto attraverso i laici. E questi sono ragazzi laici, protagonisti di questa Chiesa”.
Ad ispirare i tre giorni dell’intero “Festival dei Ragazzi”, organizzato a Roma dall’Azione Cattolica Ragazzi e di cui “A noi la parola” fa parte, sono stati i cinque “atteggiamenti” consigliati da Papa Francesco nel’“Evangelii Gaudium” (prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare), come anche l’Enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa comune. Ascoltiamo due dei ragazzi che hanno partecipato: Claudio, della diocesi di Conversano-Monopoli, e Aurora, da Monreale:
R. – Sicuramente abbiamo molto ancora da fare dal punto di vista della cura del Creato. Però iniziare già con i ragazzi è un ottimo punto di partenza, perché aiuta le future generazioni a tenere a mente questo bene comune che è il Creato.
R. – La partecipazione dei ragazzi all’interno della vita parrocchiale è stata incitata anche dal Santo Padre durante il nostro incontro. Chi c’è stato prima di noi ha distrutto quello che avrebbe dovuto salvaguardare: quindi ora tocca a noi salvaguardarlo e portarlo avanti verso chi verrà dopo di noi.
Dopo la foto delle suore in spiaggia, Facebook sospende profilo dell’imam Elzir | Avvenire.it
21 agosto 2016Sette suore, in tonaca e velo, che giocano sulla spiaggia.
Ilaria Solaini
19/08/2016
Eccola, è la foto senza alcun commento che ha pubblicato meno di 24 ore fa il presidente dell’Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii) e imam di Firenze, Izzedin Elzir.
Il riferimento è chiaramente alle discussione sull’uso del burkini, acuitasi dopo le ordinanze dei sindaci di alcune città della Francia che hanno vietato alle donne l’utilizzo del costume da bagno coprente. Ma non integrale, perché il viso rimane scoperto. Ma tant’è: le polemiche non sono mancate.
In un’intervista al Corriere della Sera, monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei ha commentato la messa al bando dalle spiagge francesi del burkini. «La paura dell’abbigliamento delle musulmane mi appare strumentale». Quanto al velo, ha sottolineato, «penso alle nostre suore, penso alle nostre mamme contadine che lo portavano fino a ieri e alcune lo portano ancora oggi. Lo stesso, si capisce, deve valere per un cattolico che voglia portare la croce o per un ebreo che indossi la kippà. Ogni persona ha diritto a mostrare la propria fede anche nell’abbigliamento, se lo ritiene opportuno. Si vigili che non vi siano usi strumentali dei simboli religiosi, ma se ne garantisca la piena libertà».
In un’intervista pubblicata il 19 agosto dal Corriere fiorentino il presidente dell’Ucoii ha spiegato di aver postato la foto perché «ormai tutti viviamo in un gioco mediatico. E in troppi, quando vedono una persona musulmana “coperta”, dimenticano che la persona vestita è la radice della cultura occidentale. Guardate nelle chiese, la figura di Maria o Mosè: è sempre vestita, no? Volevo un contrasto per dimostrare l’ipocrisia di una parte politica».
A chi gli ha fatto presente che la cultura occidentale è anche la Nike o la Venere del Botticelli, Izzedin Elzir ha replicato in modo pacato: «Io volevo rispondere a chi si dichiara cristiano, come Salvini, e critica il burkini. A chi parla di scontro di civiltà ricordo cosa è la civiltà occidentale: tocca a un semplice musulmano ricordare la loro storia». E ha aggiunto sempre l’imam di Firenze, Elzir: «Se una donna ha scelto di essere musulmana e di mettere in pratica i precetti religiosi, non capisco perché debba dare noia: dobbiamo parlare di libertà».
Videomessaggio in occasione del viaggio in Polonia 20-07-2016
23 luglio 2016Gmg, segno di armonia e misericordia per il mondo
Papa Francesco, ad una settimana dall’inizio della 31esima Giornata mondiale della Gioventù a Cracovia, invia un videomessaggio alla Polonia e a i giovani che si stanno preparando al grande incontro.
Papa ai giovani: Gesù è l’unico che dà risposta a vostra inquietudine
19 luglio 2016
2016-07-18 Radio Vaticana
Papa Francesco, a pochi giorni dalla sua partenza per Cracovia in occasione della Giornata mondiale della gioventù, ha inviato un videomessaggio ai giovani partecipanti all’evento intitolato “Insieme 2016”, svoltosi sabato a Washington, negli Stati Uniti. L’iniziativa, a carattere ecumenico, è stata organizzata dal movimento di preghiera ed evangelizzazione “Pulse” fondato da Nick Hall. Ce ne parla Isabella Piro:
“Cari giovani, so che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi agita e che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio”, dice Francesco nel suo videomessaggio in spagnolo, perché “la gioventù crea inquietudine”. “Ma qual è la tua inquietudine?” domanda il Papa, rivolgendosi ad ogni singolo giovane. Di qui, l’invito a partecipare all’incontro di Washington “per incontrare una Persona”, Gesù, che è l’unico che “può dare una risposta a tale inquietudine”. “E stai sicuro, te lo garantisco: non ti sentirai frustrato – aggiunge Francesco – Dio non delude nessuno”. Quindi, il Pontefice sottolinea: “Gesù ti aspetta, è Lui che ha piantato nel tuo cuore i semi dell’inquietudine”. “Forza! Non hai nulla da perdere. Prova! E poi chiamami”, conclude il Papa.
Al Azhar su Nizza: il terrorismo contraddice gli insegnamenti dell’islam – La Stampa
15 luglio 2016Il Grande Imam dell’istituzione sunnita ha visitato di recente il Papa e Parigi colpita anch’essa dagli attentati. Le condanne del mondo musulmano francese. Il vescovo: no a odio e discriminazioni
15/07/2016
IACOPO SCARAMUZZI
CITTÀ DEL VATICANO
L’università di Al-Azhar ha condannato l’attentato a Nizza facendo appello all’unità per «liberare il mondo dal terrorismo. Questi abominevoli attentati terroristici – si legge in una nota diffusa dalla massima istituzione del mondo sunnita con sede al Cairo – contraddicono gli insegnamenti dell’islam».
(more…)
Schönborn: Amoris Laetitia, atto di Magistero colmo di Misericordia
9 luglio 2016
2016-07-08 Radio Vaticana
“L’Amoris Laetitia è un atto del magistero che rende attuale” l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia. E’ quanto afferma il cardinale Christoph Schönborn in una lunga intervista con il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, pubblicata sul numero in uscita oggi del quindicinale dei Gesuiti. L’arcivescovo di Vienna – che aveva presentato il testo dell’Esortazione apostolica post-sinodale durante la conferenza stampa ufficiale, l’8 aprile scorso – sottolinea che con questo documento, nel segno della Misericordia, si superano le categorie nette di “regolare” e “irregolare” nel guardare alle famiglie. L’inclusione, evidenzia, è la parola chiave del documento. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Amoris Laetitia colpisce per “la sua semplicità e il suo sapore di Vangelo”. Esordisce così il cardinale Christoph Schönborn nella lunga e articolata intervista con padre Antonio Spadaro. Il direttore di Civiltà Cattolica non manca di rivolgere al porporato austriaco le domande “scomode” che sono emerse in alcuni ambienti riguardo all’Esortazione apostolica che ha concluso il cammino dei due Sinodi sulla famiglia. Alcuni, annota il gesuita, hanno parlato diAmoris Laetitia come di un “documento minore”, “senza pieno valore magisteriale”.
Amoris Laetitia, atto di magistero di grande qualità pastorale
Per il cardinale Schönborn, questa osservazione è inaccettabile. E’ evidente, afferma, che “si tratta di una atto di magistero”, è chiaro che il Papa esercita qui “il suo ruolo di pastore, di maestro e di dottore della fede”. E aggiunge che è giusto parlare di “un documento pontificio di grande qualità, di un’autentica lezione di sacra doctrina, che ci riconduce all’attualità della Parola di Dio”. Per l’arcivescovo di Vienna, l’Esortazione è “un atto del magistero che rende attuale nel tempo presente l’insegnamento della Chiesa”. Amoris laetitia, riprende, “è il grande testo di morale che aspettavamo dai tempi del Concilio e che sviluppa le scelte già compiute dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dalla Veritatis Splendor” di San Giovanni Paolo II.
Francesco espone la dottrina in maniera dolce, con misericordia
Il porporato austriaco sottolinea che Francesco ha uno sguardo realista sulla situazione delle famiglie ai nostri tempi ma al tempo stesso “non rinuncia all’ideale o al patrimonio dottrinale”. Altro elemento che colpisce, soggiunge, è il linguaggio misericordioso dell’Amoris Laetitia che incarna una “pastorale positiva” tesa ad “esporre la dottrina in maniera dolce, collegandola alle motivazioni profonde delle donne e degli uomini”.
Francesco supera le categorie di regolare e irregolare
Tra le voci critiche, annota il direttore di Civiltà Cattolica, c’è chi ritiene che Amoris Laetitiacada “nell’etica della situazione”, quindi in una “gradualità della legge”. Un’obiezione non ricevibile, per il porporato, perché “dietro a una chiara oggettività del bene e della verità, l’Esortazione evidenzia il progresso nella conoscenza e nell’impegno a compere il bene dell’uomo in via”. In questo “percorso di crescita”, dunque, “sussistono fattori che possono spiegare che è possibile non essere soggettivamente colpevoli, se non rispettiamo oggettivamente una norma”. Il cardinale Schönborn evidenzia inoltre che “il fatto rilevante di questo documento è che esso supera le categorie di regolare e irregolare”, giacché “siamo tutti soggetti al peccato e tutti abbiamo bisogno della misericordia”. Non si tratta affatto, precisa, di “relativismo, ma al contrario” il Papa è “molto chiaro sulla realtà del peccato”, ma “va al di là di questa prospettiva per mettere in pratica il Vangelo: chi tra voi non ha mai peccato scagli la prima pietra”.
Amoris Laetitia fa passo avanti nella direzione di Familiaris Consortio
L’arcivescovo di Vienna si sofferma poi sulla questione dell’accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati. Amoris Laetitia, osserva, si colloca a “livello molto concreto della vita di ognuno” e rileva che “un soggetto, pur conoscendo bene la norma può avere grande difficoltà nel comprendere valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente”. Già Giovanni Paolo II, in Familiaris Consortio, ribadisce “distingueva alcune situazioni”, “apriva dunque la porta a una comprensione più ampia passando per il discernimento delle differenti situazioni che non sono oggettivamente identiche, e grazie alla considerazione del foro interno”. Francesco ha perciò proseguito nella direzione indicata da Karol Wojtyła “ma facendo un passo in avanti”.
Papa non vuole casistica astratta, coscienza ha ruolo fondamentale
Qualcuno, incalza padre Antonio Spadaro, critica il fatto che il Papa, in questo ambito, si riferisca a “certi casi” senza “farne una sorta di inventario”. Se lo facesse, risponde il cardinale Schönborn, si cadrebbe “nella casistica astratta” e si creerebbe anche “un diritto a ricevere l’Eucaristia in situazione oggettiva di peccato”. Il Papa, invece, ci mette “di fronte all’obbligo per amore della verità, di discernere i casi singoli in foro interno come in foro esterno”. La coscienza assume dunque “un ruolo fondamentale”. L’arcivescovo austriaco conclude la sua conversazione con il direttore di Civiltà Cattolica mettendo l’accento sull’appello alla misericordia di cui è permeato tutto il documento. Un appello che rimanda “all’esigenza di uscire da noi stessi” per incontrare Cristo. Un incontro d’amore che dona gioia, Evangelii Gaudium, ma che “non può avvenire se non andando all’incontro con gli altri”.
Amoris Laetitia, Zuppi: rigore evangelico, non manica larga
9 luglio 2016
2016-07-08 Radio Vaticana
Innamorarsi della famiglia
“Un testo che ci aiuta a rinnamorarci della famiglia e a ritrovare il sentimento più profondo dell’amore, ma di un amore non idealizzato. Un documento capace di rispondere alle sfide più concrete che ci vengono poste” Con queste parole, mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, è intervenuto in un programma della Radio Vaticana dedicato alla ricezione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, di Papa Francesco, a tre mesi dalla sua pubblicazione. Il dibattito prendeva spunto dal volume ‘Famiglia allo specchio: il racconto del cammino sinodale con brani scelti da Amoris Laetitia’, Gabrielli editore, del giornalista e scrittore Giovanni Panettiere.
Non casistica, ma ascolto
“L’Amoris Laetitia – ha spiegato il presule – è un testo che dobbiamo continuare a fare nostro. Sicuramente, come diocesi di Bologna, andremo avanti a riflettere sul tema del discernimento che ci spinge a cambiare i nostri metodi pastorali”. “La sfida che ci pone il Papa con questo testo è proprio quella di andare oltre le categorie dei cosiddetti regolari e degli irregolari per guardare tutti, prima di tutto come persone. L’applicazione di questo principio nei casi concreti ci chiede la capacità di discernere. Ed è una capacità che dobbiamo accrescere, un’attitudine che si attua attraverso la paternità e non in astratto. Attraverso, quindi, la conoscenza delle diverse situazioni. E non è un problema di casistica, ma di ascolto, di comprensione delle storie di ciascuno, attraverso la creazione di un rapporto personale. Questo rappresenta per noi una prova, perché nella Chiesa, invece, siamo stati più abituati alla casistica e meno all’incontro e all’ascolto”.
Assumere la paternità
“Il rischio della manica larga, al contrario di quanto sostengono alcuni, – spiega mons. Zuppi – la Chiesa lo corre proprio quando non sa più comunicare, non sa più capire l’oggetto della sua predicazione. L’Amoris Laetitia ci chiede invece di assumere la paternità per capire e discernere la verità di sempre e capire come possa essere una via di salvezza e misericordia per le persone. Dunque tutt’altro della manica larga, ma un’assunzione veramente rigorosa dei principi evangelici ”.
No al derby: ‘comunione sì o comunione no’
“La ricezione dell’esortazione del Papa – spiega ancora Zuppi – sta avvenendo attraverso un dibattito interessante, forse a volte con qualche fatica. Il guaio è stato che il documento è stato presentato all’inizio come un testo dirimente sulla questione ‘comunione sì o comunione no’. E’ passato così in secondo piano l’invito del Papa a vivere in famiglia un amore che sia possibile e non idealizzato. Ma credo che questo farà molto bene, perché spesso rischiavamo di perdere questa gioia, questa bellezza, riducendoci sempre a un atteggiamento difensivo. Qui, invece, c’è uno sguardo concreto, allo stesso tempo appassionato, che ci aiuta molto”.
Una ‘grande biblioteca’
Sulla ricezione dell’Amoris Laetitia è intervenuta anche Maria Elisabetta Gandolfi, caporedattrice della rivista ‘Il Regno’. “Credo che questo processo stia funzionando – ha spiegato – nella misura in cui i singoli episcopati stanno prendendo in esame le singole sezioni di questo testo – che considero una ‘grande biblioteca’ – per metterle in atto nelle proprie diocesi. So che a Londra il card. Nichols ha già creato un testo pastorale a questo riguardo. Altri vescovi hanno in cantiere altri lavori su singoli, specifici capitoli, al di là dell’ottavo su cui ci siamo soffermati noi giornalisti. Credo che ci sia molto da fare e che la ricezione sarà buona, ma sui tempi lunghi”.
Non c’è solo l’ottavo capitolo
Più cauto il giudizio dello stesso Giovanni Panettiere, redattore al Qn (il Giorno, il Resto del Carlino, la Nazione). “Mi sembra si faccia abbastanza fatica, in particolare nelle diocesi italiane, ad allestire dei seminari, dei convegni di approfondimento sull’Amoris Laetitia. Probabilmente dipende dall’attenzione eccessiva data dai media al capitolo otto che ha messo in secondo piano altri capitoli. Penso al settimo, dove ci sono pennellate pedagogiche bellissime sull’accompagnamento e l’educazione dei figli o sull’interscambio del ruolo tra marito e moglie. La spasmodica attenzione sul tema dell’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati e sulle convivenze ha rallentato la ricezione di concetti pastorali importanti, come il decentramento verso gli episcopati nazionali o il ruolo della coscienza”.
Papa a un gruppo di poveri: pregate per chi non ha compassione! Ampia sintesi
6 luglio 2016
2016-07-06 Radio Vaticana
Il Papa ha ricevuto oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano i partecipanti ad un pellegrinaggio di poveri giunto dalle Diocesi Francesi della Provincia di Lione guidato dal cardinale Philippe Barbarin. L’iniziativa è stata promossa dall’organizzazione Amici di Padre Jospeh Wresinski, in occasione del centenario della nascita del sacerdote che ha dedicato la sua vita ai poveri.
“Sono molto lieto di accogliervi – ha esordito Papa Francesco dopo il saluto del cardinale Barbarin – Qualunque sia la vostra condizione, la vostra storia, il peso che portate, è Gesù che ci riunisce intorno a sé. Se c’è qualcosa che ha Gesù è proprio quella capacità di accogliere. Egli accoglie ciascuno così com’è. In Lui siamo fratelli, e io vorrei che voi sentiste quanto siete i benvenuti; la vostra presenza è importante per me, e anche è importante che qui voi siete a casa”.
“Con i responsabili che vi accompagnano, voi date una bella testimonianza di fraternità evangelica in questo camminare insieme nel pellegrinaggio. Infatti voi siete venuti accompagnandovi a vicenda. Gli uni aiutandovi generosamente, offrendo risorse e tempo per farvi venire; e voi, donando loro, donando noi, donando me, Gesù stesso”.
“Perché Gesù ha voluto condividere la vostra condizione, si è fatto, per amore, uno di voi: disprezzato dagli uomini, dimenticato, uno che non conta nulla. Quando vi capita di provare tutto questo, non dimenticate che anche Gesù l’ha provato come voi. E’ la prova che siete preziosi ai suoi occhi, e che Lui vi sta vicino. Voi siete nel cuore della Chiesa, come diceva Padre Giuseppe Wresinski, perché Gesù, nella sua vita, ha sempre dato la priorità a persone che erano come voi, che vivevano situazioni simili. E la Chiesa, che ama e preferisce quello che Gesù ha amato e preferito, non può stare tranquilla finché non ha raggiunto tutti coloro che sperimentano il rifiuto, l’esclusione e che non contano per nessuno. Nel cuore della Chiesa, voi ci permettete di incontrare Gesù, perché ci parlate di Lui non tanto con le parole, ma con tutta la vostra vita. E testimoniate l’importanza dei piccoli gesti, alla portata di ciascuno, che contribuiscono a costruire la pace, ricordandoci che siamo fratelli, e che Dio è Padre di tutti noi”.
A braccio ha aggiunto: “Mi viene in mente di pensare a cosa pensava la gente quando ha visto Maria, Giuseppe e Gesù per le strade, fuggendo in Egitto. Loro erano poveri, erano tribolati a causa della persecuzione: ma lì c’era Dio”.
“Cari accompagnatori, voglio ringraziarvi per tutto quello che fate, fedeli all’intuizione di Padre Giuseppe Wresinski, che voleva partire dalla vita condivisa, e non da teorie astratte. Le teorie astratte ci portano alle ideologie e le ideologie ci portano a negare che Dio si è fatto Carne, uno di noi! Perché è la vita condivisa con i poveri che ci trasforma e ci converte. E pensate bene questo, eh! Non solo voi andate incontro a loro – anche incontro a chi ha vergogna e si nasconde –, non solo camminate con loro, sforzandovi di comprendere la loro sofferenza, di entrare nella loro disperazione; ma voi vi sforzate di entrare nella loro disperazione. Ma inoltresuscitate intorno a loro una comunità, restituendo loro, in tal modo, un’esistenza, un’identità, una dignità. E l’Anno della Misericordia è l’occasione per riscoprire e vivere questa dimensione di solidarietà, di fraternità, di aiuto e di sostegno reciproco”.
“Amati fratelli, vi domando soprattutto di conservare il coraggio e, proprio in mezzo alle vostre angosce, di conservare la gioia della speranza. Quella fiamma che abita in voi non si spenga. Perché noi crediamo in un Dio che ripara tutte le ingiustizie, che consola tutte le pene e che sa ricompensare quanti mantengono la fiducia in Lui. In attesa di quel giorno di pace e di luce, il vostro contributo è essenziale per la Chiesa e per il mondo: voi siete testimoni di Cristo, siete intercessori presso Dio che esaudisce in modo tutto particolare le vostre preghiere”.
A braccio ha proseguito: “Voi mi chiedevate di ricordare alla Chiesa di Francia che Gesù è sofferente alla porta delle nostre chiese se i poveri non ci sono. Se i poveri non ci sono… “I tesori della Chiesa sono i poveri”, diceva il diacono romano San Lorenzo. E infine vorrei chiedervi un favore; più di un favore, darvi una missione: una missione che soltanto voi, nella vostra povertà, sarete capaci di compiere. Mi spiego: Gesù, alcune volte, è stato molto severo e ha rimproverato fortemente persone che non accolgono il messaggio del Padre. E così come Lui ha detto quella bella parola ‘beati’ ai poveri, agli affamati, a coloro che piangono, a coloro che sono odiati e perseguitati, ne ha detta un’altra, che detta da Lui fa paura! Ha detto: ‘Guai!’. E lo ha detto ai ricchi, ai saggi, a coloro che ora ridono, a quelli cui piace essere adulati, agli ipocriti. Vi do la missione di pregare per loro, perché il Signore cambi il loro cuore. Vi chiedo anche di pregare per i colpevoli della vostra povertà, perché si convertano! Pregare per tanti ricchi che vestono di porpora e di bisso e fanno festa con i grandi banchetti, senza accorgersi che alla loro porta ci sono tanti Lazzari bramosi di sfamarsi degli avanzi della loro mensa. Pregate anche per i sacerdoti, per i leviti, che – vedendo quell’uomo percosso e mezzo morto – passano oltre, guardando dall’altra parte, perché non hanno compassione. A tutte queste persone (…) sorridete loro dal cuore, desiderate per loro il bene e chiedete a Gesù che si convertano. E vi assicuro che, se voi fate questo, ci sarà grande gioia nella Chiesa, nel vostro cuore e anche nell’amata Francia”.
Quindi ha concluso: “Tutti insieme, adesso, sotto lo sguardo del nostro Padre celeste, vi affido alla protezione della Madre di Gesù e di san Giuseppe, e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica. E tutti preghiamo il nostro Padre”.
Videomessaggio “Insieme per l’Europa”, 02.07.2016 Centro Televisivo Vaticano Centro Televisivo Vaticano
4 luglio 2016Cambiare l’Europa abbattendo i muri
In un videomessaggio ai partecipanti all’incontro “Insieme per l’Europa”, che ha visto riuniti movimenti e comunità di varie Chiese a Monaco di Baviera, il Papa ha invitato a rimettere al centro la persona umana per rendere l’Europa un continente aperto e accogliente.
Armenia, conferenza stampa volo 26.06.2016
27 giugno 2016L’Armenia ha portato croci, ma non ha perso la tenerezza
Dieci domande per oltre un’ora di conversazione. A conclusione del viaggio in Armenia, Papa Francesco ha tenuto, come di consueto, la conferenza stampa con i giornalisti, durante il volo Yerevan-Roma. Dall’inviata Barbara Castelli.
Il colloquio del Papa con i giornalisti in aereo: ampia sintesi
2016-06-27 Radio Vaticana
A conclusione del viaggio in Armenia, il Papa – com’è tradizione durante il volo di ritorno – si è intrattenuto a colloquio con i giornalisti rispondendo alle loro domande. Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi del testo di questo dialogo secondo una nostra trascrizione di lavoro:
http://www.news.va/it/news/il-colloquio-del-papa-con-i-giornalisti-in-aereo-a
Armenia, santa messa a Gyumri, 25-06-2016
25 giugno 2016L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano
Papa Francesco ha celebrato la messa votiva della Misericordia di Dio in piazza Vartanants, a Gyumri, in Armenia, che ancora porta i segni del violento terremoto del 1988. Dall’inviata Barbara Castelli.
Armenia, palazzo presidenziale di Yerevan, 24-06-2016
25 giugno 2016Dopo il “Grande Male”, mai più guerre e persecuzioni
In Armenia, nel Palazzo presidenziale di Yerevan, Papa Francesco ha incontrato le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, subito dopo la visita di cortesia al presidente Serzh Sargsyan. Dall’inviata Barbara Castelli.
Armenia, messaggera di Cristo tra le Nazioni
25 giugno 2016“Visita al primo Paese cristiano”: è il tema del 14.esimo viaggio apostolico di Papa Francesco, in Armenia tra il 24 e il 26 giugno. Yerevan, Etchmiadzin, Gyumri e Khor Virap le tappe della visita. Dall’inviata Barbara Castelli.
Le risposte di Papa Francesco nella visita alla comunità di Villa Nazareth,
23 giugno 2016Nella visita alla comunità di Villa Nazareth, sabato 18 giugno 2016, Papa Francesco ha risposto a braccio a sette domande.
Papa Francesco con un gruppo di rifugiati all’udienza generale 22 giugno 2016
22 giugno 2016Papa Francesco con un gruppo di rifugiati all’udienza generale 22 giugno 2016
Il Papa sulle famiglie: no alla “morale rigida”, accompagnare tutti
17 giugno 2016Apre a San Giovanni in Laterano il convegno diocesano: la crisi demografica colpa del «maledetto benessere», la preparazione al matrimonio, i figli delle ragazze madri, il cardinale Mueller.
Non bisogna adottare una «morale rigida», ma, evitando sia il lassismo che il rigorismo, accompagnare tutti, anche i peccatori, lasciando spazio alla loro conversione, perché «la morale è un atto di amore sempre, amore a Dio e amore al prossimo». Papa Francesco ha parlato della famiglia nell’apertura del convegno della diocesi di Roma a San Giovanni in Laterano. Prima con un discorso che prendeva le mosse dal doppio sinodo del 2014-2015, poi rispondendo a braccio a tre domande dei fedeli, Jorge Mario Bergoglio ha toccato i temi più disparati della famiglia, dal calo demografico italiano causato dal «maledetto benessere», tra virgolette, alla «crudeltà» di non battezzare i figli delle ragazze madri, dai versi infantili – che ha imitato – che i genitori fanno ai figli neonati, analoghi all’atteggiamento di Dio con gli uomini, alla necessità di una solida preparazione al matrimonio capace di contrastare sia la attuale «cultura della precarietà», sia superstizioni e pregiudizi culturali, sia la tendenza consumistica a concentrarsi sulla festa e sulle bomboniere anziché sulla bellezza del sacramento. Non sono mancate, nel discorso del Papa, battute, ricordi personali, aneddoti che hanno suscitato risate e applausi dei fedeli, quando per esempio si è raccomandato: «Non accusatemi con il cardinale Mueller», il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
«Né il rigorismo né il lassismo sono la verità, il Vangelo sceglie un’altra strada», ha risposto Francesco a una donna che gli ha domandato come evitare una «doppia morale» tra il rigorismo e il lassismo. «Accogliere, accompagnare, integrare e discernere… senza mettere il naso nella vita morale della gente». Il Papa ha ricordato che nella sua esortazione apostolica sulla famiglia, Amoris laetitia, come dice il cardinale Christoph Schoenborn, «grande teologo», «tutto è tomista, dall’inizio alla fine, è dottrina sicura. Ma noi – ha proseguito – vogliamo tante volte che la dottrina sicura abbia una sicurezza matematica, che non esiste, sia con il lassismo, la manica larga, sia con la rigidità». Il Papa ha fatto gli esempi del Vangelo, prima la donna adultera («Chi è senza peccato scagli la prima pietra»), poi la samaritana (che, ha detto Francesco suscitando le risate dei fedeli, «aveva tante medaglie di adulterio, tante onorificenze…»): «Andiamo al Vangelo, andiamo a Gesù. Questo non significa buttare dalla finestra l’acqua con il bambino, no, significa cercare la verità: la morale è un atto di amore sempre, amore a Dio e al prossimo, è un atto che lascia spazio alla conversione dell’altro, non condanna subito». Il Papa ha poi raccontato di un consiglio che gli dette un suo predecessore a Buenos Aires, il cardinale Juan Carlos Aramburu: quando scopri che un tuo sacerdote ha la doppia vita, gli disse il Porporato, chiamalo, diglielo, e poi mandalo a casa dicendogli di tornare dopo 15 giorni. Lui inizialmente negherà, poi avrà tempo di riflettere, pentirsi, ammettere i propri peccati e chiedere aiuto.
«Quest’uomo ha celebrato in peccato morale per 15 giorni, così dice la morale: ma cosa è meglio», ha chiosato il Papa, «che il vescovo abbia avuto la generosità di dargli 15 giorni per ripensarci o la morale rigida?». Poi Francesco ha raccontato di un suo compagno di corso all’università che contestò una domanda molto teorica a un esame sulla confessione, dicendo: «Questo sta nei libri, non nella realtà»: «Ma per queste cose per favore – ha concluso Bergoglio – non andate ad accusarmi con il cardinale Mueller!».
L’individualismo, ha detto il Papa rispondendo alla prima domanda, «è l’asse di questa cultura» e «ha tanti nomi con una radice egoistica». Significa «non guardare l’altro, le altre famiglie» e può arrivare alle «crudeltà pastorali», ha proseguito Francesco, cha ha citato, per esempio, un’esperienza di un’altra diocesi quando era Arcivescovo di Buenos Aires: «Alcuni parroci non volevano battezzare i bambini delle ragazze madri, trattandoli come animali». L’individualismo, inoltre, assume a volte la declinazione dell’edonismo, «stavo per dire una parola un po’ forte, lo dico tra virgolette – ha proseguito – quel “maledetto benessere” che ci ha fatto tanto male. Oggi l’Italia – ha proseguito – ha un calo delle nascite terribile, credo sotto zero: questo è cominciato con quella cultura del benessere venti anni fa. Ho conosciuto tante famiglie che preferivano – ma non accusatemi con animalisti, non voglio offendere nessuno – ma preferivano avere due tre gatti, un cane, invece di un figlio», ha detto il Papa, «perché fare un figlio non è facile», «tu fai una persona che diventerà libera», e mentre «il cane e il gatto ti daranno un affetto programmato, non libero», i figli «saranno liberi, dovranno andare nella vita con i rischi della vita, e questa è la sfida che fa paura». Invece, a volte «noi abbiamo paura della libertà, anche in pastorale», e se si segue «la pastorale delle mani pulite, come i farisei, dove tutto è pulito, tutto a posto, tutto bello», non ci si accorge «fuori da questo ambiente quanta miseria c’è, quanto dolore, quanta povertà, quanta mancanza di opportunità di sviluppo».
«L’individualismo edonista ha paura della libertà, è un individualismo, non so se la grammatica italiana lo permette, ingabbiante, ti ingabbia, non ti lascia volare», ha detto Francesco, bisogna, invece, «rischiare». E avere tenerezza: «È la carezza di Dio. Una volta in un sinodo di anni fa era uscita la proposta di “fare la rivoluzione della tenerezza”, ma alcuni padri hanno detto che non poteva dire, non suonava bene… ma oggi possiamo dirlo: manca tenerezza, bisogna carezzare, non solo malati, anche i peccatori. La tenerezza è un linguaggio per i più piccoli, quelli che non hanno niente, il bambino per esempio. A me piace sentire quando anche il papà e la mamma si fanno bambini e parlano così», ha proseguito il Papa facendo il verso dei bambini, «questa è la tenerezza, abbassarmi: è la strada che ha fatto Gesù, non ha ritenuto come un privilegio essere Dio, si è abbassato e ha parlato la nostra lingua e i nostri gesti».
Quanto alla preparazione al matrimonio, «ricordo che ho chiamato un ragazzo, qui in Italia, che avevo conosciuto tempo fa, a Ciampino, e si sposava», ha detto il Papa in risposta all’ultima domanda. «L’ho chiamato: mi ha detto la tua mamma che ti sposerai. E lui: stiamo cercando la chiesa che sia adatta al vestito della mia ragazza, e poi tante cose, le bomboniere, un ristorante che non sia lontano… Queste sono le preoccupazioni?». Il Pontefice ha criticato la concezione del matrimonio come «fatto sociale», ma invitando al contempo a non chiudere le porte della Chiesa, semmai a concentrarsi, con molta «pazienza», in una solida preparazione delle giovani coppie al matrimonio: «La preparazione al matrimonio la si deve fare con vicinanza, senza spaventarsi, lentamente: ci sono ragazzi e ragazze che hanno purezza e amore grande, ma sono pochi. Nella nostra cultura di oggi ci sono ragazzi buoni ma bisogna accompagnarli fino al momento della maturità. E lì, che facciano il sacramento, ma gioiosi. Ci vuole tanta pazienza, senza spaventarsi». Nel corso del suo discorso a braccio, il Papa non ha mancato di sollevare risate e applausi dei fedeli. Per esempio quando ha citato una «superstizione» invalsa nel nord-est dell’Argentina, dove le coppie prima fanno figli, poi si sposano civilmente, e infine, da anziani, si sposano in Chiesa, perché, sostengono, «farlo religioso spaventa il marito… dobbiamo lottare anche con queste superstizioni, con questi fatti culturali». E poi la complessità delle famiglie, la presenza dei suoceri… «Ho sentito una cosa bella, piacerà alle donne: quando una donna sente dall’ecografo che è incinta di un maschietto, da quel momento incomincia a studiare per diventare suocera».
Nel corso del suo discorso, prima di rispondere alle domande, il Papa, anziché concentrarsi sulla Amoris laetitia, ha sottolineato alcune questioni emerse durante il Sinodo che ha preceduto l’esortazione apostolica, indicando in particolare tre punti. Prima, «la vita di ogni persona, la vita di ogni famiglia dev’essere trattata con molto rispetto e molta cura»: non bisogna «parlare in astratto» né «ideologizzare», non per seguire il «politicamente corretto», ma per rispetto nei confronti delle situazioni di vita concreta: «Questo – ha detto – ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito».
Secondo, «guardiamoci dal mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti»: il realismo evangelico, ha detto, «non significa non essere chiari nella dottrina»: «Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, al contrario, ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta». Al proposito il Papa ha parlato di un antico capitello medievale che a un estremo rappresenta Giuda e all’altro Gesù che porta il traditore in spalla: «Don Primo Mazzolari fece un bel discorso su questo, era un prete che aveva capito bene questa complessità della logica del Vangelo: sporcarsi le mani come Gesù, che non era pulito andava dalla gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere».
Infine, terzo punto del discorso, gli anziani: «Come società, abbiamo privato della loro voce i nostri anziani, questo è un peccato sociale», ha detto, affermando: «Questa è l’ora dei sogni degli anziani», che i giovani possono realizzare. Rinunciamo, ha detto in generale il Papa citando la sua esortazione, «ai “recinti” che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza». Francesco, affiancato dal cardinale vicario Agostino Vallini, aveva iniziato la sua meditazione con una osservazione: «Le cinque navate piene, si vede che c’è voglia di lavorare!».
Il Papa a Diocesi di Roma: rinunciare ai recinti e avvicinarsi alle famiglie
17 giugno 2016
2016-06-16 Radio Vaticana
La pastorale familiare raggiunga ogni famiglia, abbia un atteggiamento di compassione e valorizzi la testimonianza degli anziani. Questo, in sintesi, l’invito del Papa che, nel tardo pomeriggio, ha aperto il Convegno della diocesi di Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il tema al centro della riflessione è “‘La letizia dell’amore’: il cammino delle famiglie a Roma alla luce dell’Esortazione apostolica ‘Amoris letitia’ di Papa Francesco”. L’incontro è iniziato con il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini. I lavori proseguono domani sera con i cinque laboratori tematici nelle 36 prefetture della diocesi di Roma. Le conclusioni, con la relazione del cardinale vicario e la presentazione degli orientamenti pastorali, sono state fissate per il 19 settembre. Il servizio di Debora Donnini:
Percorrere le strade aperte dal cammino sinodale per comprendere meglio l’Esortazione apostolica “Amoris laetitia”: è quanto il Papa intende fare con il suo discorso al Convegno della Diocesi di Roma. Per aiutare a fare questo delinea, attraverso immagini bibliche, tre fondamentali questioni: arrivare a tutte le famiglie, non mettere in campo una pastorale dei “ghetti” e dare spazio agli anziani con la loro testimonianza.
La vita di ogni famiglia deve essere trattata con cura
Francesco ricorre all’immagine di Mosè a cui Dio dice davanti al roveto ardente di togliersi i sandali. Un’immagine che si declina nel ricordare che i temi affrontati nei due Sinodi non erano “un argomento qualsiasi”, ma “i volti concreti di tante famiglie”:
“Come aiuta dare volto ai temi! E come aiuta ad accorgersi che dietro alla carta c’è un volto, eh? Come aiuta! Ci libera dall’affrettarci per ottenere conclusioni ben formulate ma molte volte carenti di vita; ci libera dal parlare in astratto, per poterci avvicinare e impegnarci con persone concrete. Ci protegge dall’ideologizzare la fede mediante sistemi ben architettati ma che ignorano la grazia”.
“È la fede – dice – che ci spinge a non stancarci di cercare la presenza di Dio nei cambiamenti della storia”. Le famiglie “nelle nostre parrocchie”, con le loro complessità, non sono, dunque, “un problema” ma “un’opportunità”:
“Opportunità che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane”.
Bisogna arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, non solo a quelle che vengono in parrocchia. E questo incontro ci sfida a non dare nessuno per perso:
“Ci sfida a non abbandonare nessuno perché non è all’altezza di quanto si chiede da lui. E questo ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito. E che si sporcano le mani”.
In una parola, sottolinea Papa Francesco, questa riflessione “ci chiede di toglierci le scarpe per scoprire la presenza di Dio”:
“E l’identità non si fa nella separazione: l’identità si fa nell’appartenenza. La mia appartenenza al Signore: quello mi dà identità. Non staccarmi dagli altri perché non mi contagino”.
Serve una logica della compassione verso le famiglie
La seconda immagine è quella del fariseo che prega ringraziando Dio di non essere come gli altri uomini. Il Papa mette in guardia dalla tentazione di credere di guadagnare in identità quando ci si differenzia dagli altri. Tutti, invece, “abbiamo bisogno di convertirci” e gridare assieme al pubblicano: “Dio mio abbi pietà di me che sono un peccatore”, dice Francesco. Questo ci fa avere un atteggiamento di umiltà, fa “guardare le famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio”. Ed è proprio l’accento posto sulla misericordia ad aiutare ad avere “il realismo di Dio”:
“Nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità. Il realismo evangelico si impegna con l’altro, con gli altri e non fa degli ideali e del ‘dover essere’ un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano”.
Questo non significa “non essere chiari nella dottrina” ma “evitare di cadere in giudizi che non assumono la complessità della vita”. “Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che ‘grano e zizzania’ crescono assieme”, afferma. Citando “Amoris laetitia”, Francesco dice di comprendere “coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Ma “credo sinceramente”, afferma, che Gesù vuole una Chiesa che “nel momento in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo”, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”. In una parola: una Chiesa capace di assumere “una logica della compassione verso le persone fragili”.
Il Papa, parlando a braccio, fa riferimento ad un capitello che si trova nella Basilica di Santa Maria Maddalena a Vélazay, in Francia, dove Giuda impiccato viene portato sulle spalle da Gesù. E a don Primo Mazzolari che ha capito la complessità della logica del Vangelo dice:
“E quello che si è sporcato di più le mani, è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era un pulito ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere. Torniamo all’immagine biblica: ‘Ti ringrazio, Signore, perché sono dell’Azione Cattolica, o di questa associazione, o della Caritas, o di questo o di quello, e non come questi che abitano nei quartieri e sono ladri e delinquenti’: questo non aiuta la pastorale”.
Gli anziani, preziosi testimoni dell’amore
L’ultima immagine richiamata è quella del profeta Gioele che parla di anziani che faranno sogni profetici. Il Papa sa le difficoltà dei giovani – il 40% dei ragazzi dai 25 anni in giù non ha lavoro – e si chiede, dunque, quale speranza possano avere. Torna, dunque, un tema caro a Francesco: quello degli anziani e della loro testimonianza. I nonni possono, infatti, testimoniare la gioia di aver fatto una scelta d’amore e averla preservata nel tempo. Scartare gli anziani, come spesso fa la società, porta a perdere “la ricchezza della loro saggezza”, avverte il Papa. E proprio la “mancanza di modelli”, non permette alle giovani generazioni di “avere visioni”, cioè di fare progetti perché si ha paura del futuro. E il Papa ha aggiunto, parlando ancora a braccio, riferimenti alla sua esperienza durante le Messe del mattino a Casa Santa Marta, dove vengono tante coppie che fanno 50 o 60 anni di matrimonio. E il Pontefice esorta a mostrare questo amore ai giovani che invece, magari dopo due o tre anni, vogliono tornare “da mamma”. La testimonianza di chi ha lottato per qualcosa che valeva la pena, invece, aiuta ad alzare lo sguardo, ed è preziosa:
“Loro si sentono scartati, quando non disprezzati. A noi piace, nei programmi pastorali: ‘Questa è l’ora del coraggio’, ‘questa è l’ora dei laici’, ‘questa è l’ora…’. Ma se io dovessi dire, questa è l’ora dei nonni! ‘Ma, Padre, Padre, lei va indietro, lei è preconciliare’! Eh: è l’ora dei nonni, che i nonni sognino, e i giovani impareranno a profetizzare, cioè a fare realtà con la loro forza, con la loro immaginazione, con il loro lavoro, i sogni dei nonni”.
Bisogna rinunciare ai recinti per incontrare gli altri
“Rinunciamo ai recinti”, conclude il Papa, esortando ad “entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri”. L’invito di Francesco è quello di sviluppare una pastorale familiare “capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare”, e di conoscere “la forza della tenerezza”, “perché la vita a noi affidata” possa svilupparsi secondo “il sogno di Dio”.
Dopo il discorso, il Papa ha risposto ad alcune domande.
Fate del bene seminando bellezza nel mondo 16 giugno 2016
17 giugno 2016Udienza artisti dello spettacolo viaggiante 16-06-2016
Papa Francesco nell’incontro con gli artisti di strada in occasione del Giubileo dello spettacolo viaggiante ha ringraziato tutti per il bene che fanno regalando sorrisi e speranze.
Diocesi Roma: il 16 giugno Convegno pastorale con il Papa
16 giugno 2016
Giovedì 16 giugno, alle 19, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il Santo Padre aprirà i lavori del Convegno pastorale diocesano che quest’anno verterà su “‘La letizia dell’amore’: il cammino delle famiglie a Roma alla luce dell’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco”.
Il programma della serata prevede l’indirizzo di saluto del cardinale vicario Agostino Vallini a cui seguirà un momento di preghiera e il discorso del Pontefice sul tema del Convegno.
I lavori proseguiranno la sera di venerdì 17 giugno con i cinque laboratori tematici nelle 36 prefetture della diocesi di Roma. “I laboratori – si legge nel programma del Convegno – affronteranno, in ottica positiva e propositiva, alcune tematiche di pastorale familiare trattate nell’Esortazione apostolica”.
Una decisione, questa, che si riflette nella scelta dei cinque temi che venerdì saranno affrontati nelle prefetture (inizio alle ore 19), una novità dell’edizione 2016 del Convegno diocesano: “Educare all’amore nel tempo dell’adolescenza”; “Il fascino dell’amore vero verso il matrimonio”; “Sostenere la fedeltà degli sposi”; “La gioia di dare la vita e di far crescere la vita”; “La famiglia: scuola di socialità e stile di fraternità”. La novità non è solo nella sede ma anche nella modalità: al posto dell’assemblea, lo stile del “tavolo”, con 20 gruppi da 10 persone circa, in modo che ogni partecipante – soprattutto i laici – possa offrire il proprio contributo. I tavoli saranno coordinati da “facilitatori” che avranno il compito di stimolare il confronto al fine di far scaturire precise proposte pastorali con uno sguardo particolare alla formazione degli operatori di pastorale familiare. La pista di lavoro è rappresentata da una scheda composta da tre parti: citazioni della Amoris laetitia per andare direttamente al pensiero del Papa; una breve riflessione; alcune domande utili per il dialogo.
A trarre le conclusioni di questo lavoro, dopo le sintesi che arriveranno dalle prefetture, sarà il cardinale vicario Agostino Vallini, che lunedì 19 settembre presenterà gli orientamenti pastorali emersi, sempre nella basilica di San Giovanni in Laterano, in due momenti distinti: alle 9.30 nell’incontro con parroci e altri sacerdoti; alle 19.30 con gli operatori pastorali durante il quale sarà conferito il mandato ai catechisti per il nuovo anno pastorale.
Udienza convegno persone disabili e catechesi, 11-06-2016
12 giugno 2016Papa Francesco ha incontrato in Aula Paolo VI più di 600 disabili e accompagnatori protagonisti del convegno organizzato dalla Conferenza episcopale italiana per i 25 anni del settore per la catechesi delle persone disabili.
Udienza Comunione mondiale Chiese riformate, 10-06-2016
10 giugno 2016Nell’udienza alla delegazione della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, il Papa ha invitato a lavorare insieme per ricomporre le controversie dottrinali e promuovere una comune missione evangelizzatrice.
Giubileo dei Sacerdoti: omelia del Papa. Ampia sintesi
3 giugno 2016
2016-06-03 Radio Vaticana
Oggi nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Papa Francesco presiede la Messa in Piazza San Pietro a conclusione del Giubileo dei Sacerdoti. Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’omelia del Papa:
Due cuori
“Celebrando il Giubileo dei Sacerdoti nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù – ha esordito il Papa – siamo chiamati a puntare al cuore, ovvero all’interiorità, alle radici più robuste della vita, al nucleo degli affetti, in una parola, al centro della persona. E oggi volgiamo lo sguardo a due cuori: il Cuore del Buon Pastore e il nostro cuore di pastori”.
Sicuri di essere accolti con tutti i nostri peccati
“Il Cuore del Buon Pastore non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa. Lì risplende l’amore del Padre; lì mi sento sicuro di essere accolto e compreso come sono; lì, con tutti i miei limiti e i miei peccati, gusto la certezza di essere scelto e amato. Guardando a quel Cuore rinnovo il primo amore: la memoria di quando il Signore mi ha toccato nell’animo e mi ha chiamato a seguirlo, la gioia di aver gettato le reti della nostra vita sulla sua Parola (cfr Lc 5,5)”.
Amore senza confini
“Il Cuore del Buon Pastore ci dice che il suo amore non ha confini, non si stanca e non si arrende mai. Lì vediamo il suo continuo donarsi, senza limiti; lì troviamo la sorgente dell’amore fedele e mite, che lascia liberi e rende liberi; lì riscopriamo ogni volta che Gesù ci ama «fino alla fine» (Gv 13,1): non si ferma prima. Fino alla fine, senza mai imporsi”.
Un amore che non vuole perdere nessuno
“Il Cuore del Buon Pastore è proteso verso di noi, “polarizzato” specialmente verso chi è più distante; lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere”.
Dov’è orientato il mio cuore?
“Davanti al Cuore di Gesù nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale:dove è orientato il mio cuore? Domanda che noi sacerdoti dobbiamo farci tante volte: ogni giorno, ogni settimana … Ma dove è orientato il mio cuore? Il ministero è spesso pieno di molteplici iniziative, che lo espongono su tanti fronti: dalla catechesi alla liturgia, alla carità, agli impegni pastorali e anche amministrativi. In mezzo a tante attività permane la domanda: ma dove è fisso il mio cuore? Mi viene alla memoria quella preghiera tanto bella della Liturgia … Dove punta, qual è il tesoro che cerca? Perché – dice Gesù – «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Ma ci sono debolezze in tutti noi, anche peccati. Ma andiamo al profondo, alla radice. Dove è la radice delle nostre debolezze, dei nostri peccati, cioè dov’è proprio quel “tesoro” che ci allontana dal Signore?”.
Il cuore del sacerdote è un cuore trafitto dall’amore del Signore
“I tesori insostituibili del Cuore di Gesù sono due; Gesù ha due tesori soltanto: il Padre e noi. Le sue giornate trascorrevano tra la preghiera al Padre e l’incontro con la gente. L’incontro con la gente, non la distanza. L’incontro. Anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente. Il cuore del sacerdote è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a sé stesso – non dovrebbe guardare a se stesso – ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più “un cuore ballerino”, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è peccatore. E’ invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati”.
Tre azioni
“Per aiutare il nostro cuore ad ardere della carità di Gesù Buon Pastore, possiamo allenarci a fare nostre tre azioni, che le Letture di oggi ci suggeriscono: cercare, includere e gioire”.
Mettersi in cerca della pecora smarrita
“Cercare. Il profeta Ezechiele ci ha ricordato che Dio stesso cerca le sue pecore (34,11.16). Egli, dice il Vangelo, «va in cerca di quella perduta» (Lc 15,4), senza farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro. E non si fa pagare gli straordinari. Non rimanda la ricerca, non pensa “oggi ho già fatto il mio dovere, e forse me ne occuperò domani”, ma si mette subito all’opera; il suo cuore è inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita. Trovatala, dimentica la fatica e se la carica sulle spalle tutto contento. Una volta deve uscire a cercarla, a parlare, persuadere; altre volte deve rimanere davanti al tabernacolo, lottando con il Signore per quella pecora”.
Non privatizzare il proprio ministero
“Ecco il cuore che cerca: è un cuore che non privatizza i tempi e gli spazi. Guai ai pastori che privatizzano il loro ministero! Non è geloso della sua legittima tranquillità: legittima, dico: neppure di quella; e mai pretende di non essere disturbato. Il pastore secondo il cuore di Dio non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome: ma sarà calunniato, come Gesù! Senza temere le critiche, è disposto a rischiare!, rischiare, pur di imitare il suo Signore. Beati sarete quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e così via …”.
Il sacerdote non è un ragioniere dello spirito
“Il pastore secondo Gesù ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio: non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova, eh? Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca. Per questo non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. E come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da se stesso, soltanto centrato in Gesù; non è attirato dal suo io, ma dal Tu di Dio e dal noi degli uomini”.
Includere
“Seconda parola: includere. Cristo ama e conosce le sue pecore, per loro dà la vita e nessuna gli è estranea (cfr Gv 10,11-14). Il suo gregge è la sua famiglia e la sua vita. Non è un capo temuto dalle pecore, ma il Pastore che cammina con loro e le chiama per nome (cfr Gv 10,3-4). E desidera radunare le pecore che ancora non dimorano con Lui (cfr Gv 10,16)”.
Se si corregge è sempre per avvicinare
“Così anche il sacerdote di Cristo: egli è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il Buon Pastore non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a comporre le liti. E’ un uomo che sa includere”.
Una gioia per gli altri
“Gioire. Dio è «pieno di gioia» (Lc 15,5): la sua gioia nasce dal perdono, dalla vita che risorge, dal figlio che respira di nuovo l’aria di casa. La gioia di Gesù Buon Pastore non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore. Questa è anche la gioia del sacerdote. Egli viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona. Gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio”.
Grazie per i sì nascosti di tutti i giorni
“Cari sacerdoti, nella Celebrazione eucaristica ritroviamo ogni giorno questa nostra identità di pastori. Ogni volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». È il senso della nostra vita, sono le parole con cui, in un certo modo, possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra Ordinazione. Vi ringrazio per il vostro “sì” e per tanti “sì” nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce; vi ringrazio per il vostro “sì” a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia”.
Jubilee for Priests – Holy Mass – 2016.06.03
3 giugno 2016
Treno bambini. Papa: cristiano è chi fa il bene, aiutiamo i migranti
28 Maggio 2016
2016-05-28 Radio Vaticana
Un commosso e commovente incontro con il dramma dell’immigrazione visto dal punto di vista dei bambini. È stato soprattutto questo il momento vissuto da Papa Francesco e i centinaia di giovanissimi di varie etnie e religioni giunti in Vaticano dalla Calabria con il “Treno dei bambini”, l’annuale iniziativa organizzata dal Pontificio Consiglio della Cultura. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Buongiorno, Papa”, volevo chiederti “di pregare per la mia famiglia che è andata in cielo”, e “per i miei amici”, anche loro “sono andati in cielo”, “sono morti nell’acqua”. È Sayende, un ragazzino della Nigeria – carne di Cristo che ha già conosciuto la morte senza aver conosciuto la vita – a dare in due parole il senso della festa, perché questa vuole essere, portata in Vaticano dal “Treno dei bambini”.
Chi è diverso è nostro fratello
È un treno in cui il dolore del vissuto dei suoi piccoli passeggeri è una trama sulla quale si intreccia l’ordito della cura e dell’affetto donati ai ragazzini dall’Associazione Giovanni XXIII, dall’Orchestra infantile “Quattrocanti” di Palermo in cui cantano ragazzi di otto etnie, dall’intraprendenza di Maria Salvia, preside di una scuola di Vibo Marina, che porta a Francesco i soldi di una colletta per i bimbi di Lesbo e una lettera, firmata dai suoi alunni, che il cardinale Ravasi legge al Papa:
“Noi, bambini, promettiamo che accoglieremo chiunque arriverà nel nostro Paese; non considereremo mai chi ha un colore di pelle diverso, chi parla una lingua differente o professa un’altra religione, un nemico pericoloso”.
Soltanto il giubbetto
È il mondo che i bambini sognano, e non solo loro. Francesco ascolta, sorride, si commuove. Scherza, botta e risposta, quando il microfono passa a lui, maestro di una classe che vuole sentire le parole del Papa della tenerezza. Si fa portare il disegno di un bambino – col sole, il mare, le onde che si muovono. Onde, dice il piccolo, che possono “far morire la gente”. Una storia di carta, cui Francesco fa seguire una di terribile attualità. Mercoledì scorso all’udienza generale tre soccorritori volontari lo salutano e gli donano piangendo un oggetto:
“Mi ha portato questo giubbetto e piangendo un po’ mi ha detto: ‘Padre, non ce l’ho fatta. C’era una bambina, sulle onde, ma non ce l’ho fatta a salvarla. Soltanto è rimasto il giubbetto’. Questo giubbetto è di quella bambina. Non voglio rattristarvi, ma voi siete coraggiosi e conoscete la verità. Sono in pericolo: tanti ragazzi, bambini, bambine, uomini, donne, sono in pericolo (…) Pensiamo a questa bambina … Come si chiamava? Ma, non so: una bambina senza nome. Ognuno di voi le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo, lei ci guarda”.
“Hai studiato con Heidegger!”
C’è chi si imbarca per cercare un destino diverso e chi questo destino vuole respingerlo, deviarlo, scaricarlo altrove. “È un’ingiustizia”, gridano i ragazzini parlando di chi non lascia passare gli immigrati. E quando un bambino li definisce “bestie”, Francesco gli dice scherzando: “Ma tu hai studiato con Heidegger!” e invitandolo accanto sé con delicatezza e sapienza gli spiega…
“…ma lui non ha voluto insultare, lui non ha fatto un insulto. Ha detto che una persona che chiude il cuore non ha cuore umano, perché non lascia passare, ha un cuore animale, diciamo, come una bestia, che non capisce”.
“Gesù vuole che io faccia del bene”
Invece i bambini capiscono e il Papa le amplifica per loro, parole come “pace, fratellanza, compassione, bene, uguaglianza”, “accoglienza”. Tra i bambini, ve ne sono 50 dell’Associazione romana “Sport senza frontiera”. Una bambina chiede a Francesco cosa sia per lui “essere Papa”. Significa, è la risposta, fare il “bene che io posso fare”:
“Ma io sento che Gesù mi ha chiamato per questo. Gesù ha voluto che io fossi cristiano, e un cristiano deve fare questo. E anche Gesù ha voluto che io fossi sacerdote, vescovo e un sacerdote e un vescovo devono fare questo. Io sento che Gesù mi dice di fare questo: questo è quello che sento”.
Udienza Grande Imam Al-Azhar 23-05-2016
23 Maggio 2016Nello storico incontro tra Papa Francesco e il rettore dell’Università di Al-Azhar de Il Cairo Ahmad Al-Tayyib, uno dei massimi esponenti dell’islam sunnita moderato, si è parlato del comune impegno delle grandi religioni per la pace e il rifiuto del terrorismo.
Udienza presidente Bielorussia 21-05-2016
21 Maggio 2016
Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano il presidente della Repubblica di Bielorussia Aleksandr Lukashenko, ed ha discusso con lui della convivenza tra cattolici e ortodossi e dei colloqui di pace per la crisi ucraina.
Udienza giubilare 14-05-2016
14 Maggio 2016
All’udienza giubilare il Papa ha parlato della “pietà” come aspetto importante della misericordia. Quindi ha chiesto ai fedeli di liberarsi da indifferenza e schiavitù del benessere per ascoltare il grido dei sofferenti.
Udienza Guardia Svizzera Pontificia 07-05-2016
7 Maggio 2016Papa Francesco ha incontrato le 23 giovani reclute della Guardia Svizzera Pontificia dopo il loro giuramento.
Udienza medici con l’Africa Cuamm 07-05-2016
7 Maggio 2016Papa Francesco ha incontrato in Aula Paolo VI medici, aspiranti medici e volontari del Cuamm, ong di Padova impegnata fin dal 1950 per assicurare la “salute negata” alle popolazioni dell’Africa subsahariana.
Incontro Padri Mercedari 02-05-2016
2 Maggio 2016In periferia liberi dai bagagli
Papa Francesco ha incontrato i padri Mercedari che festeggiano ottocento anni di vita ricordando la missione del buon evangelizzatore, che porta il vento leggero dello Spirito nelle periferie del Mondo.
Confessioni in Piazza San Pietro per il Giubileo dei ragazzi 23-04-2016
24 aprile 2016
Papa Francesco è sceso a sorpresa in piazza San Pietro e si è aggregato ai 150 sacerdoti che stavano confessando i giovanissimi protagonisti del Giubileo dei ragazzi, ascoltando le confessioni di 16 di loro.
Dichiarazione congiunta: immigrati, basta rotte della morte
16 aprile 2016
2016-04-16 Radio Vaticana
La tragedia umanitaria che vivono gli immigrati richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse” perché la “protezione delle vite umane è una priorità”. È quanto si afferma nella Dichiarazione congiunta firmata a Lesbo da Papa Francesco, dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I e dall’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos, al termine del loro incontro con i profughi sull’isola greca. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Una “colossale crisi umanitaria” quale il mondo non ha mai visto dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. E il mondo deve muoversi con solidarietà “immediata”, soprattutto rimuovendo i motivi scatenanti – guerre e violenze varie – che hanno innescato questo gigantesco e inarrestabile movimento di massa di immigrati e profughi.
Solidarietà, compassione, generosità
La Dichiarazione congiunta che Papa Francesco, il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos firmano sul podio dal quale hanno appena rivolto i loro saluti è scritta in certo modo con l’inchiostro della tragedia incontrata poco prima – il lento incontro col dolore senza più parole e i singhiozzi liberatori dei disperati con l’uomo della speranza, l’unico leader mondiale che abbia voluto raggiungerli e stare con loro sotto una tenda, conoscere visi e storie e lasciando distanze di sicurezza e muri a chi pesa con la bilancia della politica anche i grammi di umanità. “La tragedia della migrazione e del dislocamento forzati”, afferma un passaggio della Dichiarazione, richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse. Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria” e le sue cause con “iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente sia in Europa”.
Impiegare ogni mezzo
“Come capi delle nostre rispettive Chiese – affermano i tre firmatari – siamo uniti nel desiderio della pace e nella sollecitudine per promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione”. Riconoscendo quanto già fatto in termini di assistenza, e ringraziando la Grecia per il suo impegno, il Papa e le due personalità ortodosse si appellano, scrivono, “a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza”.
Eliminare le rotte della morte
E necessari in modo altrettanto urgente”, incalza la Dichiarazione, sono “un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze, combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani, eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, e provvedere procedure sicure di reinsediamento”.
Assistere i rifugiati di tutte le fedi
L’orizzonte del documento congiunto si allarga nella parte conclusiva, arrivando a comprendere il conflitto mediorientale, per il quale i firmatari “insieme” implorano “solennemente la fine della guerra e della violenza”, una “pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case”. “Chiediamo alle comunità religiose – si afferma – di aumentare gli sforzi per accogliere, assistere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso, religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative”.
Asilo temporaneo, status di rifugiato
Ancora un esortazione viene rivolta a “tutti i Paesi” perché, perdurando “la situazione di precarietà”, estendano “l’asilo temporaneo” e concedano “lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei”, ampliando “gli sforzi per portare soccorso” e adoperandosi “insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso”.
La “priorità” della vita umana
Riaffermando “con fermezza e in modo accorato” la decisione di “intensificare” i rispettivi “sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani”, Papa Francesco, il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos – citando la Charta Oecumenica del 2001 – si dicono desiderosi di voler “contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa”. L’Europa oggi, sottolineano, “si trova di fronte a una delle più serie crisi umanitarie dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Dunque, “esortiamo la comunità internazionale a fare della protezione delle vite umane una priorità e a sostenere, ad ogni livello, politiche inclusive che si estendano a tutte le comunità religiose”.
Udienza giubilare: elemosina è gesto di attenzione sincera. Ampia sintesi
9 aprile 2016
2016-04-09 Radio Vaticana
Papa Francesco ha tenuto oggi una nuova udienza giubilare in Piazza San Pietro parlando dell’elemosina come aspetto essenziale della misericordia. Può sembrare una cosa semplice fare l’elemosina – ha esordito – ma dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede. Infatti, il termine ‘elemosina’, deriva dal greco e significa proprio ‘misericordia’. L’elemosina, quindi, dovrebbe portare con sé tutta la ricchezza della misericordia. E come la misericordia ha mille strade, mille modalità, così l’elemosina si esprime in tanti modi, per alleviare il disagio di quanti sono nel bisogno”.
Dio esige un’attenzione particolare per i poveri
“Il dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. Il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi. Ci sono pagine importanti nell’Antico Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove”.
Lodare Dio con l’elemosina
E a braccio ha aggiunto: “Nella Bibbia questo è un ritornello continuo, eh? Il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano: è un ritornello. Perché Dio vuole che il suo popolo guardi a questi fratelli nostri. Ma, io dirò che sono proprio al centro del messaggio: lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con l’elemosina”.
La carità richiede un atteggiamento di gioia interiore
“Insieme all’obbligo di ricordarsi di loro, viene data anche un’indicazione preziosa: «Dai generosamente e, mentre doni, il tuo cuore non si rattristi» (Dt 15,10). Ciò significa che la carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta”.
Quelli che si giustificano per fare l’elemosina
A braccio ha aggiunto: “E quanta gente giustifica sé stessa di dare l’elemosina dicendo: ‘Ma, come sarà questo, questo a cui io darò andrà a comprare vino per ubriacarsi!’. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu cosa ne fai di nascosto? Che nessuno vede… E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?”
Non distogliere lo sguardo dal povero e Dio non distoglierà da te il suo
“Mi piace ricordare l’episodio del vecchio Tobia – ha proseguito – che, dopo aver ricevuto una grande somma di denaro, chiamò suo figlio e lo istruì con queste parole: «A tutti quelli che praticano la giustizia fa’ elemosina. […] Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo» (Tb 4,7-8). Sono parole molto sagge che aiutano a capire il valore dell’elemosina”.
Guardare negli occhi la persona che mi sta chiedendo aiuto
“Gesù – ha proseguito – come abbiamo ascoltato, ci ha lasciato un insegnamento insostituibile in proposito. Anzitutto, ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: “Fai in modo che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra”. Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto. Ognuno di noi può domandarsi: ‘Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?”.
Elemosina non è dare una moneta offerta in fretta
“Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri. Insomma, l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto”.
Elemosina è dare qualcosa che costa sacrificio
A braccio ha detto: “Fare l’elemosina anche deve essere per noi una cosa che sia pure un sacrificio. Io ricordo una mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni più o meno. E sempre insegnava ai figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo, ognuno stava mangiando un filetto alla milanese, come si dice nella mia terra, ‘impanato’. E bussano alla porta, il più grande va ad aprirla e viene dalla mamma: ‘Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare, cosa facciamo?’. ‘Ma gli diamo – i tre – gli diamo?’. ‘Bene, prendi la metà del tuo filetto, tu prendi l’altra metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini’. ‘Ah no, mamma!’. ‘Ah, no? Tu dà del tuo. Tu dai quello che ti costa’. Questo è il coinvolgersi con il povero. Io mi privo di qualcosa di mio per dartela a te. E ai genitori, attenti: educate i vostri figli a dare così l’elemosina, a essere generosi con quello che hanno”.
Si è più beati nel dare che nel ricevere!
E ha concluso: “Facciamo nostre allora le parole dell’apostolo Paolo: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (At 20,35; cfr 2 Cor 9,7). Grazie!”.
Papa Wojtyla: 2_Aprile_2016 anniversario del Suo ritorno alla casa al Padre
2 aprile 2016Non avere paura – Un’amicizia con Papa Wojtyla
Nel 1981, qualche tempo dopo l’attentato a Giovanni Paolo II, la famiglia del giovane maestro di sci e provetto alpinista Lino Zani (Giorgio Pasotti), che gestisce un rifugio alpino tra le vette dell’Adamello, riceve una visita inattesa e straordinaria: proprio quel Karol Wojtyla (Aleksei Guskov) che ha, con la montagna, un rapporto profondissimo e antico. Insieme al papa arriva anche un suo caro amico, altro importante personaggio: il Presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini (Giuseppe Cederna). Gli Zani sono gente normale, una famiglia abituata ad accogliere nel suo rifugio sciatori e scalatori con la semplicità un po’ spartana che si addice ad un luogo estremo come l’Adamello, dove per mesi non è nemmeno possibile salire. Figurarsi lo sgomento e l’emozione di trovarsi ad ospitare due fra le personalità più significative del Ventesimo secolo.
Uno sgomento ed un’emozione, però, che non si trasformano mai in soggezione. Del resto quel papa e quel presidente sono tutto fuorché uomini di potere, non sono accompagnati da grandi apparati di sicurezza e non chiedono di meglio che di stabilire rapporti umani semplici e sinceri. La visita, che doveva rimanere segreta e privata per volere dei servizi di sicurezza, diviene presto un’occasione di incontro con la popolazione della montagna. I due grandi uomini non accettano di nascondersi, per motivi di sicurezza, alla “loro gente”.
Così la “vacanza di Stato”, diventa una vacanza normale. Il giovane Lino viene scelto per accompagnare il papa nelle sue discese. L’amicizia che nasce allora, fra le vette innevate dell’Adamello, accompagnerà i due uomini, così diversi, per il resto della loro vita.
Lino è cresciuto sopra i tremila metri, insieme alla sua famiglia. La montagna ed il senso di maestosa immensità che essa ispira fa ormai parte della sua personalità.
È bello, allegro, affamato di vita, sportivo, inquieto e seduttore. Ha già conosciuto quello che sarà il grande amore della sua vita: Angela (Claudia Pandolfi), una ragazza di città venuta a passare una vacanza. Angela è diversa dalle altre, Lino lo capisce subito. Quei pochi giorni passati insieme sono qualcosa di speciale. Ma poi la vacanza è finita, e Angela è tornata alla sua vita di città. Gli ha chiesto di andare con lei. Ma Lino non se l’è sentita. Si trattava di scegliere fra Angela e la montagna. Una scelta impossibile: per Lino, è come dire scegliere fra Angela e se stesso.
Forse è per questo primo trauma, per questa prima scelta forzata tra la ragazza che ama e l’avventura in cima al mondo, che, poco più che un ragazzo Lino si sente spinto a confessarsi per la prima volta, con Wojtyla e con se stesso, a raccontare l’inquietudine profonda che lo abita, la spinta a “salire fino in cima”, sulle vette più alte, per sfidarle e conquistarle. Per andare oltre. Il suo sogno è vincere l’Everest. Il Papa lo ascolta, e si affeziona a questo ragazzo che, a suo modo, cerca, forse senza nemmeno saperlo, l’Assoluto.
La vacanza finisce. Forse finirebbe anche l’amicizia fra Lino ed il Papa, se il ragazzo non scegliesse di consegnare a Wojtyla delle foto private, scattate sull’Adamello, invece di venderle ad un giornale di gossip che gli ha offerto centinaia di milioni di lire per poterle pubblicare. Sono normalissime foto del papa che scia, o che si intrattiene con piccoli gruppi di fedeli, o che, solitario, medita e prega sulla vetta della montagna. Ma proprio perché così semplici e comuni, Lino sa che si tratta di immagini davvero private. Non può venderle, ma solo regalarle: al suo nuovo amico.
Da questo momento, il rapporto fra Lino ed il Papa diventa quasi quello fra un figlio che cerca la verità ed il padre che indica la strada. Wojtyla incoraggia Lino a seguire i suoi desideri, la sua curiosità: mettendolo sempre in guardia. Raggiungere la cima non è l’obiettivo principale, quello che davvero bisogna imparare a fare è tornare indietro. Alla vita e alla fatica di tutti i giorni, alla scalata delle difficoltà del vivere quotidiano, il lavoro, i figli, le malattie, le durezze e le gioie di un percorso esistenziale e spirituale. Ma Lino è giovane, e Karol sa che questo è un discorso che si comprende con il trascorrere del tempo. Così gli regala una piccola croce e lo prega, una volta che sia arrivato in cima alla sua montagna, di piantarla per lui.
Lino diventa così, per il Pontefice, il Nostro Apostolo delle Montagne…
premere qui se volete vedere delle scene della fiction dedicata al Nostro Caro Papa
Il Papa al Colosseo: la Croce dice che nulla può sconfiggere l’amore di Dio
26 marzo 2016
2016-03-25 Radio Vaticana
Una lunga preghiera che invita a guardare la Croce di Cristo come “patibolo della persecuzione” e al tempo stesso come vessillo di vittoria: è quella pronunciata da Papa Francesco ieri sera al termine della Via Crucis al Colosseo. Dopo la lettura delle meditazioni scritte dall’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve – il cardinale Gualtiero Bassetti – il Pontefice si è soffermato sulle atrocità che dilaniano il mondo, sull’immoralità e sull’egoismo degli uomini, ma ha anche evidenziato il volto buono della stessa umanità. Nell’anfiteatro Flavio hanno portato la croce, tra gli altri, famiglie di diverse nazionalità e frati della Terra Santa. Il servizio di Tiziana Campisi:
Sono una preghiera alla Croce di Cristo le parole di Papa Francesco, una sequenza di invocazioni nelle quali il Pontefice ha condensato il male e il bene di cui è artefice l’uomo di oggi. “Simbolo dell’amore divino e dell’ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell’egoismo estremo per stoltezza”: questo è anzitutto il legno in cui Gesù è stato inchiodato, ha detto il Papa, che così ha proseguito:
“O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.…. O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto”.
E Croce, ha aggiunto il Pontefice, sono anche i fondamentalismi e il terrorismo di seguaci di religioni “che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze”, la compravendita di armi che alimenta le guerre, il latrocinio e la corruzione. Il Papa ha quindi identificato nella Croce di Cristo chi distrugge la “casa comune”, la solitudine degli anziani abbandonati, il disagio dei disabili scartati dalla società. Poi i segni dell’amore senza fine:
“O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati – i buoni samaritani – che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell’ingiustizia…. O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale”.
E’ la via della Risurrezione; quella delle “persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità”, dei “volontari che soccorrono generosamente i bisognosi”.
La Croce mostra “Dio che ama fino alla fine”, per questo c’è da invocarla, perché ci insegni – ha concluso Papa Francesco – che “l’alba del sole è più forte dell’oscurità della notte” e che “l’apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota”. Perché “nulla può sconfiggere”, “oscurare o indebolire” l’amore di Dio.
Il Papa a pranzo con i Parroci di Roma per ascoltare e imparare
25 marzo 2016
2016-03-25 Radio Vaticana
Attenzione alle persone, a tutte le persone, in particolare a quelle più in difficoltà: è quanto chiede il Papa ai parroci di Roma con cui ha pranzato ieri in Vaticano dopo la Messa crismale. Una decina i sacerdoti presenti: l’incontro si è svolto in un clima molto familiare. C’era anche don Manrico Accoto, giovane parroco della Chiesa di Santa Giulia Billiart, a Tor Pignattara. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Sergio Centofanti:
R. – È stata un’esperienza molto bella, nella sua semplicità e normalità. Il Papa ci ha messi tutti a nostro agio e ha voluto semplicemente ascoltarci tutti. Ognuno ha potuto raccontare la propria vita in parrocchia: Roma è molto diversificata, dal nord al sud, tra quartieri giovani e residenziali e altri più popolari e periferici. Ha ascoltato tutti con molto interesse, senza mai interrompere, sempre con un atteggiamento di chi ha da imparare, facendoci sentire dei maestri importanti. E questo secondo me ha dato proprio l’immagine, come abbiamo celebrato ieri, di un Gesù che si toglie le vesti e ridona dignità e importanza a chi lo segue. Come parroci di Roma, cerchiamo di seguire il nostro Vescovo e lui ci ha dato una carezza, un bacio, facendoci sentire ascoltati e sottolineando le cose che facciamo: un po’ come un padre che ascolta le piccole cose dei figli, sottolineandone però l’importanza, perché è attraverso queste piccole cose che si costruisce il futuro.
D. – Che cosa è emerso della Diocesi di Roma da quello che voi avete detto al Papa?
R. – Sono emerse sicuramente le positività di comunità vive, con famiglie giovani che si mettono in cammino, magari anche alla riscoperta della fede, portando i propri figli. Sono emerse le scelte belle di comunità, attraverso la preghiera, il servizio ai più poveri, scelte solidali. E sono emerse anche le difficoltà di un tessuto urbano che vive sicuramente un momento di grosso sacrificio e anche di grandi tensioni sociali in alcuni quartieri di Roma. Sono emerse le gioie, ma anche le fatiche dell’essere sacerdoti a Roma. Quindi, è emerso un po’ lo spaccato di gioie e dolori di una Diocesi che cammina, attraverso il grande impegno dei laici, e il bel rapporto tra il popolo di Dio e i suoi pastori.
D. – Tu in particolare cosa hai detto al Papa?
R. – Ho descritto la mia realtà, molto diversificata, perché abbiamo anziani, ma anche delle famiglie giovani: è un quartiere popolare, ma al tempo stesso multietnico. Quindi il rapporto con l’islam; ma anche i ragazzi che hanno difficoltà a trovare un lavoro o quelli più piccoli che addirittura fanno fatica a finire le scuole medie. C’è il problema della droga, ma anche la grande vivacità di una comunità che si sta mettendo al servizio di tutto questo, attraverso lo stare insieme e la preghiera. Ho portato al Santo Padre la gioia e il cammino che la nostra comunità, qui a Tor Pignattara, sta facendo.
D. – Come vivono i parroci di Roma il Pontificato di Papa Francesco, del loro Vescovo?
R. – Sicuramente c’è stato un grande entusiasmo iniziale, perché un cambiamento porta sempre a qualcosa che ridesta: non perché non fossimo legati a Papa Benedetto – tutt’altro – ma semplicemente perché un cambiamento ti ridesta da una normalità che ormai tendi ad acquisire. Adesso, sicuramente, c’è anche la fatica di recepire i grandi stimoli che lui dà: cioè non è mai una “pappa pronta” – lui dice che devi fare e tu lo fai – per cui c’è la fatica del discernimento, del capire come mettere in pratica le linee di fondo, che però non potranno mai diventare delle soluzioni “precotte”. Quindi, ora, ci troviamo più nella semina che nel raccolto. Dove porterà il Pontificato di Papa Francesco, lo vedremo fra qualche anno. Bisogna con fiducia continuare a lasciarci guidare e suggestionare da lui, perché la nostra pastorale, piano piano e nel concreto, si rinnovi attraverso i suoi insegnamenti.
Tre anni con Francesco, il Pontificato della misericordia
11 marzo 2016
2016-03-11 Radio Vaticana
Tre anni con Francesco, tre anni di Pontificato accompagnati dalla Misericordia di Dio. Un amore senza misura che il Papa ha testimoniato in ogni momento: dagli eventi in mondovisione come il discorso all’Onu o l’avvio del Giubileo a quelli intimi, negati agli occhi delle telecamere, come gli incontri con i carcerati e i tossicodipendenti. Nella ricorrenza del terzo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio alla Cattedra di Pietro, domenica 13 marzo, Alessandro Gisotti ritorna a momenti, discorsi, immagini, di questi ultimi 12 mesi rannodati con il filo della misericordia:
“Il nome di Dio è misericordia”, afferma Papa Francesco, ma misericordia – sempre di più – sta diventando anche il nome del suo Pontificato. La misericordia è nel motto episcopale di Bergoglio, alla misericordia ha voluto dedicare il suo primo Angelus da Pontefice, misericordia è tra le parole che più ricorrono nelle omelie mattutine a Casa Santa Marta. Segnali sul bordo di una strada che ha portato a quell’annuncio, traguardo sorprendente ma al tempo stesso quasi atteso, di un anno fa:
“Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parole del Signore: ‘Siate misericordiosi come il Padre’” (13 marzo 2015, Basilica di San Pietro)
Un Giubileo che inizia dalla periferia, la Porta Santa a Bangui
Sono convinto – afferma Francesco – che tutta la Chiesa “ha tanto bisogno di ricevere misericordia”. Il Giubileo, dunque, non avrà solo Roma come centro, ma tanti centri quanti sono le comunità ecclesiali nel mondo. Un Giubileo “diffuso”, cattolico nel senso proprio del termine: universale quindi e non solo “romano”. Ecco allora che per sottolineare questa dimensione, Francesco non apre la prima Porta Santa nella Basilica Petrina, ma nella cattedrale di Bangui, capitale di uno dei più poveri Paesi della Terra. La periferia diventa il centro:
“Bangui diviene la capitale la spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore”. (Apertura Porta Santa di Bangui, 29 novembre 2015)
Se il Giubileo inizia l’8 dicembre, preceduto appunto dalla tappa africana del 29 novembre, in realtà illumina e orienta già tutti i momenti successivi all’annuncio del 13 marzo scorso.
Guardare alle famiglie di oggi con lo sguardo misericordioso di Dio
La parola misericordia diventa protagonista nella conversazione comune dei fedeli e approda nelle Reti sociali dove si afferma tra i temi più ricorrenti nella comunicazione digitale. A fare da catalizzatore è naturalmente il magistero del Papa che dalla misericordia prende linfa per restituirla poi in molteplici frutti. Un esempio eloquente, al riguardo, è il discorso che Francesco pronuncia alla chiusura del Sinodo per la Famiglia:
“L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”. (Discorso 24 ottobre 2015, chiusura Sinodo)
Dalla diplomazia della misericordia allo storico incontro con Kirill
Grazie a Francesco, la misericordia diventa anche il codice inedito di una diplomazia che il Pontefice mette in campo per risolvere conflitti, avviare dinamiche di pace, far incontrare chi da troppo tempo ormai non si stringeva più la mano. Il pensiero va immediatamente a Cuba e Stati Uniti, alla Colombia e al Centrafrica dove, con la sua visita audace, Francesco pianta semi di riconciliazione che frutteranno già nei giorni successivi al ritorno a Roma.
Il segno più straordinario della misericordia divina, una vera sorpresa di Dio di questo terzo anno di Pontificato, è però l’incontro con il Patriarca ortodosso Kirill. Incontro tra fratelli in Cristo, come Francesco stesso racconterà con parole emozionate poche ore dopo sull’aereo che da Cuba lo conduce in Messico:
“Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”. (Conferenza stampa 12 febbraio 2016)
No alla guerra, Francesco a difesa dell’uomo e del Creato
Sullo spartito della misericordia, colpiscono i diversi registri che Francesco utilizza: tenero e accogliente nell’abbraccio ai più bisognosi, duro e sferzante nel denunciare il male. Impressionanti le parole che riserva ai mercanti di guerra, a chi schiaccia il più debole per il suo interesse:
“C’è una parola del Signore: ‘Maledetti!’ Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre sono maledetti, sono delinquenti”. (Omelia a Santa Marta, 19 novembre 2015)
Il terzo anno di Pontificato è anche l’anno della Laudato si’. Un’Enciclica che, inserendosi nel solco della Dottrina Sociale, indica l’urgenza della cura della Casa comune. Ancora una volta, Francesco allarga il compasso del ragionamento e di fronte alle interpretazioni anguste che valutano questo documento come meramente “ecologista”, evidenzia che cura dell’ambiente e difesa dell’umanità sono le facce di una stessa medaglia:
“Questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto”. (Udienza generale, 17 giugno 2015)
Le critiche al “Papa comunista”, “se serve, recito il Credo!”
Il Papa chiede di accogliere “con animo aperto questo documento” e tuttavia non mancano – anche in ambienti cattolici – le critiche. C’è chi intravede nel magistero di Francesco un’eccessiva concentrazione sui temi della povertà e dell’emarginazione, chi arriva addirittura a definirlo “Papa comunista”. A costoro Francesco rammenta che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo, non è un’invenzione del comunismo. E non rinuncia a usare l’arma disarmante dell’ironia:
“La mia dottrina su tutto questo, la Laudato si’ e sull’imperialismo economico, è nell’insegnamento sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo sono disposto a farlo”. (Conferenza stampa aereo verso gli Stati Uniti, 23 settembre 2015)
Come nei primi due anni di Pontificato, ma in realtà durante tutta la sua vita di pastore, Francesco continua dunque a essere megafono di chi ha una voce troppo flebile per essere ascoltata. Con lo sguardo fisso al popolo dei migranti in fuga da guerre e carestie, chiede di costruire ponti, non erigere muri e dà l’esempio ospitando in Vaticano due famiglie di rifugiati. Lo sentono vicino i giovani disoccupati, le donne vittime della tratta, i movimenti popolari che lottano per la terra, la casa, il lavoro. Il Papa condanna ripetutamente il circolo vizioso generato dalla “cultura dello scarto” che espelle gli anziani e serra la porta della vita ai bambini. “L’aborto – ammonisce – non è un male minore. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia”. E proprio in una terra prostrata dalla criminalità, quale è Scampia, Francesco denuncia con forza il morbo della corruzione:
“Se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti… la corruzione ‘spuzza’. E la società corrotta ‘spuzza’”. (Discorso a Scampia, 21 marzo 2015)
La riforma della Curia e la riforma del cuore
D’altro canto, non ha paura di riconoscere – come fa parlando con i giovani in Kenya – che la corruzione esiste pure in Vaticano. Su questo fronte, Francesco – coadiuvato dal cosiddetto Consiglio dei Nove – continua senza sosta l’opera di riforma della Curia per renderla sempre più al servizio della Chiesa universale. Dopo la nascita della Segreteria per l’Economia è la volta del dicastero per la Comunicazione, mentre procede il lavoro per la redazione di una nuova Costituzione che sostituisca la Pastor Bonus. La riforma non si ferma né rallenta, rassicura il Papa, nonostante l’esplodere del cosiddetto “Vatileaks 2”:
“Voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza”. (Angelus 8 novembre 2015)
Se dunque Francesco porta avanti con passione la riforma delle istituzioni vaticane, c’è una riforma a cui tiene ancora di più: quella del cuore. Un cuore che, per accogliere la misericordia di Dio che ci viene incontro, deve essere aperto alla conversione. Un’apertura che, come evidenzia la Misericordiae Vultus, inizia con il sentirsi peccatore:
“Se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male. Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà. E quando ci troviamo, noi infedeli, la grazia di chiedere perdono”. (Omelia a Santa Marta, 3 marzo 2016)
P. Ronchi: Gesù non è un moralista e pone donna e uomo al centro del Vangelo
9 marzo 2016
2016-03-08 Radio Vaticana
“Gesù non è moralista”. “Siamo noi che abbiamo moralizzato il Vangelo”. Così padre Ermes Ronchi, nella quinta meditazione degli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana, in corso nella Casa del Divin Maestro di Ariccia. Nella giornata della donna, il religioso ha ricordato che nel Vangelo molte donne seguivano e servivano Gesù, rammaricando la sola presenza di uomini nell’incontro. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Il Vangelo non è moralista”, ha sottolineato p. Ronchi partendo nella sua riflessione dal racconto evangelico di Gesù, che invitato nella casa di Simone il fariseo, rompe ogni convenzione e lascia che una donna, per tutti la peccatrice, pianga ai suoi piedi, e li asciughi con i suoi capelli, baciandoli e cospargendoli di olio profumato. E di fronte alla sorpresa di Simone, Gesù lo ammonisce: “guarda questa donna”, che da peccatrice diviene “la perdonata che ha molto amato”:
“Nella cena a casa di Simone il fariseo va in scena un conflitto sorprendente: il pio e la prostituta; il potente e la senza nome, la legge e il profumo, la regola e l’amore a confronto”.
L’errore di Simone è lo sguardo giudicante:
“Gesù per tutta la sua esistenza insegnerà lo sguardo non giudicante, includente, lo sguardo misericordioso”.
Simone – ha proseguito – mette al centro del rapporto tra uomo e Dio “il peccato, ne fa l’asse portante della religione”:
“È l’errore dei moralisti di ogni epoca, dei farisei di sempre”.
Gesù – ha osservato – “non è moralista”:
“Mette al centro la persona con lacrime e sorrisi, la sua carne dolente o esultante, e non la legge”.
Nel Vangelo troviamo con più frequenza la parola povero che peccatore, ha osservato padre Ronchi:
“Adamo è povero prima che peccatore; siamo fragili e custodi di lacrime, prigionieri di mille limiti, prima che colpevoli”.
Siamo noi – ha aggiunto -.che “abbiamo moralizzato il Vangelo”:
“Ma in principio non era così: p.Vannucci lo dice benissimo il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione. E ci porta fuori dal paradigma del peccato per condurci dentro il paradigma della pienezza, della vita in pienezza”.
Simone il moralista guarda il passato della donna, vede “una storia di trasgressioni”, “mentre Gesù – ha spiegato padre Ronchi – vede il molto amore di oggi e di domani”:
“Gesù non ignora chi è, non finge di non sapere, ma la accoglie. Con le sue ferite e soprattutto con la sua scintilla di luce, che Lui fa sgorgare”.
Il centro della cena doveva essere Simone pio e potente, e invece il centro è occupato dalla donna:
“Solo Gesù è capace di operare questo cambio di prospettiva, di fare spazio così agli ultimi. Gesù sposta il fuoco, il punto di vista dal peccato della donna alle mancanze di Simone, lo destruttura, lo mette in difficoltà come farà con gli accusatori dell’adultera nel tempio”.
Se Gesù domandasse anche a me – ha detto sorridendo padre Ronchi – la vedi questi donna? dovrei rispondere “no, Signore, qui vedo solo uomini”:
“Non è molto normale questo ammettiamolo. Dobbiamo prendere atto di un vuoto che non corrisponde alla realtà dell’umanità e della Chiesa”.
“Non era così nel Vangelo”, dove molte donne seguivano e servivano Gesù, ma “al nostro seguito non le vedo”, ha detto padre Ronchi:
“Che cosa ci fa così paura che dobbiamo prendere le distanze da questa donna e dalle altre? Gesù era sovranamente indifferente al passato di una persona, al sesso di una persona, non ragiona mai per categorie o stereotipi. E penso che anche lo Spirito Santo distribuisca i suoi doni senza guardare al sesso delle persone”.
Gesù, segnato da quella donna che lo ha commosso, non la dimentica: all’ultima Cena ripeterà il gesto della peccatrice sconosciuta e innamorata, laverà i piedi dei suoi discepoli e li asciugherà”.
“Quando ama, l’uomo compie gesti divini, Dio quando ama compie gesti umani, e lo fa con cuore di carne”.
Infine un richiamo per i confessori:
“È così facile per noi quando siamo confessori non vedere le persone, con i loro bisogni, e le loro lacrime ma vedere la norma applicata o infranta. Generalizzare, spingere le persone dentro una categoria, classificare. E così alimentiamo la durezza del cuore, la sclerocardia, la malattia che Gesù più temeva. Diventiamo burocrati delle regole e analfabeti del cuore; non incontriamo la vita, ma solo il nostro pregiudizio”.
Ermes Ronchi: Chiesa si doni e viva per gli altri
8 marzo 2016
2016-03-07 Radio Vaticana
Seconda giornata di esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana nella Casa del Divin Maestro di Ariccia. Al centro delle meditazioni quaresimali, guidate da padre Ermes Ronchi, dei Servi di Maria, ci sono le domande del Vangelo. Questo pomeriggio si è partiti dal testo di Matteo :”Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde sapore con che cosa lo si renderà salato?”. Il servizio di Gabriella Ceraso
Sin dal mondo antico il sale è stato elemento prezioso e denso di significati, ma sempre simbolo della conservazione di ciò che vale e merita di durare, come succede in rapporto agli alimenti. I discepoli come il sale, afferma padre Ermes Ronchi, preservano ciò che alimenta la vita sulla terra, la parola di Dio, il Vangelo che, penetrando nelle cose le fa durare. Sale della terra e luce del mondo, dice Gesù nel Vangelo: la loro umiltà è modello per la Chiesa e i discepoli:
“Ecco l’umiltà del sale e della luce. Che non attirano l’attenzione su di sé, non si mettono al centro, ma valorizzano ciò che incontrano. Così l’umiltà della Chiesa, dei discepoli del Signore, che non devono orientare l’attenzione su di sé, ma sul pane e sulla casa, sullo sterminato accampamento degli uomini, sulla loro fame così grande alle volte che per loro Dio non può avere che forma di un pane”
Come la luce anche noi dovremmo avere sguardi luminosi, spiega padre Ronchi, che quando si posano sulle persone fanno emergere tutto ciò che più bello c’è nell’uomo, e come il sale, anche noi non dovremmo avere valore se non nell’incontro:
“Osservo il sale. Fino a che rimane nel suo barattolo, chiuso in un cassetto della cucina non serve a niente. Il suo scopo è uscire e perdersi per rendere più buone le cose. Si dona e scompare. Chiesa che si dona, si scioglie, che accende, che vive per gli altri. . Se mi chiudo nel mio io, anche se sono adorno di tutte le virtù più belle, e non partecipo all’esistenza degli altri, come il sale e la luce, se non sono sensibile e non mi dischiudo, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato. Sale e luce non hanno lo scopo di perpetuare se stessi ma di effondersi. E così è la chiesa: non un fine, ma un mezzo per rendere più buona e più bella la vita delle persone.”
Può accadere però di perdere il Vangelo, di non avere più senso né sapore, di non servire a niente. E succede, osserva padre Ronchi, ogni volta che non siamo capaci di comunicare amore a quanti incontriamo, né speranza, né libertà, che sono doni di Dio. Quando ci omologhiamo al sistema senza voler andare controcorrente, incarnando le beatitudini e quando, seguendo il Vangelo, non cresciamo in umanità:
“Siamo sale che ha perduto il sapore se non siamo uomini risolti, se non ci siamo liberati da maschere e paure. Le persone vogliono cogliere dal discepolo di Gesù frammenti di vita, non frammenti di dottrina. Non se ci è stato posto Dio fra le mani ma che cosa ne abbiamo fatto di quel Dio”.
Ma padre Ronchi ricorda anche la grande fiducia di Dio negli uomini : Gesù non dice infatti “sforzatevi di diventare luce , di avere sapore”, ma “sappiate che lo siete già“. La luce è il “dono naturale di chi ha respirato Dio” e “avere un sapore di vita è il dono di chi ha abitato il Vangelo”. Sta a noi prenderne consapevolezza e trasmettere luce e sapore al mondo. Il nostro compito perchè la luce e il sale non si perdano, conclude padre Ronchi nella sua meditazione, è dare un incanto nuovo all’esistenza, lasciare che Cristo penetri nella nostra vita e vivere in comunione con gli altri:
“Una parabola ebraica dice che ogni uomo viene al mondo con una piccola fiammella sulla fronte, che non si vede se non con il cuore, e che è come una stella che gli cammina davanti. Quando due uomini si incontrano, le loro due stelle si fondono e si ravvivano – ognuna dà e prende energia dall’altra – come due ceppi di legno posti insieme nel focolare. L’incontro genera luce. Quando, invece, un uomo per molto tempo resta privo di incontri, solo, la stella che gli splendeva in fronte piano piano si affievolisce, fino a che si spegne. E l’uomo va, senza più una stella che gli cammini davanti. La nostra luce vive di comunione, di incontri, di condivisione. Non preoccupiamoci di quanti riusciamo a illuminare. Non conta essere visibili o rilevanti, essere guardati o ignorati, ma essere custodi della luce, vivere accesi. Custodire l’incandescenza del cuore”
Papa su confine Usa-Messico: mai più uomini e donne carne da macello
18 febbraio 2016
2016-02-18 Radio Vaticana
Papa Francesco ha concluso il suo viaggio in Messico. L’arrivo all’aeroporto di Roma-Ciampino è previsto poco dopo le 15.00. Ultima tappa della sua visita è stata la Messa a Ciudad Juarez, a soli 80 metri dal confine con gli Usa dove sorge la rete anti-immigrati, davanti a centinaia di migliaia di persone. “Mai più morte e sfruttamento!”: è stato l’accorato appello lanciato dal Papa all’omelia, col pensiero rivolto ai tanti che cercano una nuova speranza al di là della frontiera e diventano invece “carne da macello”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Fedeli alla Messa del Papa al di là della rete, negli Usa
Il Messico e gli Stati Uniti per alcune ore sono diventati una cosa sola. Il Papa nell’ultimo giorno del suo viaggio apostolico ha celebrato la Messa a Ciudad Juarez una delle città più violente del mondo, dove la tratta di esseri umani si lega al narcotraffico, dove migliaia di persone muoiono nel tentativo di attraversare il confine per entrare negli Stati Uniti, ad El Paso: tanti ce la fanno. E molti erano lì, dietro la rete, anche vescovi statunitensi, ad 80 metri dal piccolo palco verde su sfondo bianco su cui il Papa ha celebrato la speranza e la vittoria della vita sulla morte.
L’accoglienza calorosa e la preghiera alla grande Croce
Francesco è stato accolto dalla gioia della gente che lo ha accompagnato per tutto questo viaggio in terra messicana. I colori papali risaltavano tra la sabbia, gli arbusti e la roccia che disegnano questa città sul confine del fiume Rio Grande che qui si riduce ad un canale tra due argini di cemento. Poco prima della Messa, Francesco è andato verso la grande Croce di legno posta sul confine e ha pregato in silenzio: lì ci sono anche le scarpe dei migranti a simboleggiare i tanti morti nel tentativo di passare la frontiera, ha salutato benedetto migliaia di fedeli: i muri e le reti si sono dissolti nell’amore di Cristo per l’uomo:
Mai più morte e sfruttamento
“Mai più morte e sfruttamento! C’è sempre tempo per cambiare, c’è sempre una via d’uscita e un’opportunità, c’è sempre tempo per implorare la misericordia del Padre”.
Il Papa ha chiesto a Dio “il dono della conversione, un “cuore aperto”, il “dono delle lacrime per poter vedere:
“Sono le lacrime che possono aprire la strada alla trasformazione; sono le lacrime che possono ammorbidire il cuore, sono le lacrime che possono purificare lo sguardo e aiutare a vedere la spirale di peccato in cui molte volte si sta immersi”.
Vuoti legali che schiacciano sempre i più poveri
Ha guardato al dramma delle migrazioni a causa delle crisi umanitarie e a chi cerca speranza viaggiando anche a piedi “attraversando centinaia di chilometri per montagne, deserti, strade inospitali”, poi ha parlato dei “vuoti legali”, della droga, dello sfruttamento e della “rete” – ha detto – che “si tende” approfittando di bisogno, debolezza e “cattura e distrugge sempre i più poveri”:
Carne da macello
“Ingiustizia che si radicalizza nei giovani: loro, come carne da macello, sono perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe”.
“E che dire delle tante donne – ha aggiunto – alle quali è stata strappata ingiustamente la vita”. Il Papa ha toccato il cuore dei fedeli e le lacrime solcavano il volto di molti, ha parlato dell’umanità schiacciata in questa città e spesso in ogni luogo di confine:
“Un passaggio, un cammino carico di terribili ingiustizie: schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione, molti nostri fratelli sono oggetto di commercio del transito umano”.
Conversione e misericordia, vie di salvezza
In questo anno giubilare ha indicato la via della “conversione” della “salvezza” della “misericordia” per uscire da questa “spirale di morte”. Ha lodato il lavoro “di tante organizzazioni della società civile in favore dei diritti dei migranti” in cui sono impegnati molti religiosi, religiose, sacerdoti e laici. Persone ha detto che difendono la “vita” “rischiando molte volte la propria”:
“Con la loro vita sono profeti di misericordia, sono il cuore comprensivo e i piedi accompagnatori della Chiesa che apre le sue braccia e sostiene”.
Giovani, speranza per il Messico
Nel saluto finale il Papa ha parlato del “valore dei giovani” che sono “la speranza di questo popolo”, evidenziando che “la notte ci può sembrare enorme e molto oscura”, ma che “esistono tante luci che annunciano la speranza”.
Nessun muro può impedire l’amore di Dio
Poi rivolgendosi a tutti prima dell’affidamento alla Vergine di Guadalupe – mentre decine di palloncini bianchi e gialli salivano in cielo, quasi simbolicamente, dal confine messicano a quello statunitense – riferendosi anche alle nuove tecnologie, ha sottolineato:
“Possiamo pregare, cantare e festeggiare insieme l’amore misericordioso che Dio ci dona, e che nessun confine potrà impedirci di condividere”.
Papa Francesco in aereo: chi costruisce solo muri non è cristiano
18 febbraio 20162016-02-18 Radio Vaticana
Papa Francesco ha concluso il suo viaggio in Messico. Poco prima delle 15.00 l’arrivo all’aeroporto di Roma-Ciampino, poi – prima del rientro in Vaticano – la consueta visita di ringraziamento nella Basilica di Santa Maria Maggiore davanti all’immagine della Salus Populi Romani. Ultimo atto, il tradizionale appuntamento con i giornalisti sul volo di ritorno: non si è parlato solo di Messico e dell’incontro con il Patriarca Kirill. Molte le domande, importanti le risposte del Pontefice che, infine, ha ringraziato l’organizzatore dei viaggi papali sin dal Pontificato di Giovanni Paolo II, Alberto Gasbarri, che con il viaggio del Messico, conclude il suo servizio. Francesca Sabatinelli:
Il caso Maciel
“Un vescovo che cambia la parrocchia ad un sacerdote, quando si riconosce un caso di pedofilia, è un incosciente! E la cosa migliore che possa fare è la rinuncia”. E’ perentorio Francesco, sin dall’inizio del suo incontro con i giornalisti, quando – in spagnolo – gli si chiede della pedofilia in Messico, del caso Maciel, di un orrore che ancora oggi scuote molte delle vittime e che spesso però, è la domanda, vede come punizione lo spostamento del sacerdote colpevole.
Il coraggio di Benedetto XVI contro le sporcizie nella Chiesa
Il Papa rende quindi apertamente omaggio al predecessore Benedetto XVI, colui che, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il caso Maciel lo “ha avuto tutto nelle sue mani, ha fatto l’indagine”. Fu l’allora cardinale Ratzinger che, ricorda Francesco, nella Via Crucis del Venerdì Santo, pochi giorni prima della morte di Giovanni Paolo II, disse che “bisognava pulire le ‘porquerias’ della Chiesa, le sporcizie”. Fu Benedetto XVI, prosegue, “il coraggioso che aiutò tanti ad aprire questa porta”. Il lavoro va avanti, assicura Francesco, che ha deciso di nominare un terzo segretario aggiunto alla Dottrina della Fede “perché si occupi solamente di questi casi”. Francesco ringrazia poi il Signore che “sia stata scoperchiata questa pentola” che bisogna continuare a scoperchiare. “E’ una mostruosità, dice, perché un sacerdote” che “è consacrato per portare un bambino a Dio e là se lo ‘mangia’ in un sacrificio diabolico, lo distrugge”.
Chi costruisce solo muri non è cristiano
Il passaggio dalla lingua spagnola a quella italiana vede il Papa rispondere alla questione immigrazione, uno dei punti cardine della campagna elettorale negli Usa, con il candidato Donald Trump che, oltre a dare al Papa dell’uomo politico per le sue posizioni nei confronti dei migranti, ha annunciato pesantissime azioni contro di loro. Cita Aristotele il Papa, perché fu lui a definire l’uomo “animale politico” e spiega che “una persona che pensa soltanto di fare muri” e “non a fare ponti, non è cristiana”. Ma – dice – bisogna vedere se Trump “ha detto così le cose”.
Incontro con Kirill e commenti dei greco-cattolici
Francesco parla poi dell’incontro e dall’abbraccio con Kirill a Cuba, di un colloquio che ha reso felici entrambi e aggiunge poi che sarà vicino al Concilio panortodosso di Creta con un messaggio e con le sue preghiere affinché “gli ortodossi vadano avanti”. Di qui poi la risposta forse più complessa di tutta la conferenza stampa, sulle reazioni nate tra i greco-cattolici in Ucraina alla Dichiarazione congiunta firmata dal Papa e dal Patriarca e ritenuta – dice il giornalista francese che fa la domanda – un “documento politico di appoggio alla politica russa”. Francesco esprime preoccupazione per le critiche nate in Ucraina da parte dei greco-cattolici che si sarebbero sentiti “profondamente delusi e traditi” dal documento e allo stesso tempo però aiuta nell’interpretazione dell’intervista con la quale l’arcivescovo maggiore ucraino Sviatoslav Shevchuk aveva denunciato i sentimenti del suo popolo. “Per capire una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica di tutto”, dice: dunque, da una parte l’aspetto dogmatico delle dichiarazioni dell’arcivescovo, in piena comunione con il Vescovo di Roma, dall’altra l’espressione delle idee personali, diritto di ognuno, in merito alla Dichiarazione congiunta e non all’incontro con Kirill, precisa Francesco. Sul documento, è il messaggio del Papa, si può discutere, non dimenticando la guerra e la sofferenza in cui si trova l’Ucraina, ecco quindi che si capisce quello che sente un popolo in questa situazione. Gli accordi di Minsk vadano avanti, ripete quindi il Papa “e non si cancelli con il gomito quello che è stato scritto con le mani”.
Unioni civili: il Papa non s’immischia, ma pensa come la Chiesa
E’ perentorio poi Francesco quando ribadisce che “il Papa non si immischia nella politica italiana” rispondendo alle domande sulla legge sulle unioni civili in discussione al Parlamento italiano:
“Perché il Papa è per tutti e non può mettersi in politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del Papa! E quello che penso io è quello che pensa la Chiesa”.
Quello che dice il Catechismo sulle persone omosessuali
“Un parlamentare cattolico – aggiunge poi Francesco – deve votare secondo la propria coscienza ben formata”, ribadendo il “ben formata”, e come il suo pensiero sulle persone omosessuali sia quello contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica.
Aborto non è male minore, ma crimine
Sul virus Zika e sul rischio per le donne in gravidanza che ha condotto alcune autorità a proporre l’aborto o di evitare la gravidanza, Francesco con forza ripete il perché la Chiesa non possa prendere in considerazione il concetto di “male minore”:
“L’aborto non è un ‘male minore’, è un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia, eh? E’ un crimine. E’ un male assoluto”.
Non bisogna confondere, prosegue, “il male di evitare la gravidanza con l’aborto”. L’aborto “non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi”:
“E’ un male in se stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no è un male umano”.
Evitare la gravidanza non è un “male assoluto”, prosegue, ricordando anche le indicazioni di Paolo VI per i casi di violenza, come fu per alcune suore in Africa autorizzate ad usare anticoncezionali.
Non sprecare cultura e storia dell’Europa
Nel prendere spunto dalla domanda sul prestigioso premio Carlo Magno che gli verrà consegnato tra poche settimane, il Papa auspica quella che definisce una ri-fondazione dell’Unione Europea:
“Perché l’Europa non è unica, ma ha una forza, una cultura, una storia che non la si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché l’Unione Europea abbia la forza e anche l’ispirazione di farci andare avanti”.
Integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite
Sulla famiglia, su divorziati e risposati, Francesco ricorda che il documento post-sinodale di imminente uscita – forse prima di Pasqua – riporterà tutto ciò che il Sinodo ha detto e spiega inoltre come fondamentale siano sempre la preparazione al matrimonio e l’educazione dei figli, coloro che sono “le vittime dei problemi della famiglia”, anche quando questi problemi nascono da cause esterne, come dal bisogno di lavoro. Francesco rievoca poi l’incontro con le famiglie a Tuxtla per ribadire l’importanza di “integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati”, il che però non significa “fare la Comunione”: “questo sarebbe una ferita anche ai matrimoni, alla coppia” perché non permetterebbe loro di “compiere quella strada di integrazione”.
L’amicizia di un prete con una donna
Un’amicizia con una donna non è un peccato, prosegue poi il Papa con i giornalisti, rispondendo ad una domanda sull’amicizia e sulla corrispondenza tra Giovanni Paolo II e la filosofa americana Anna Tymieniecka. “Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna, è un uomo che gli manca qualcosa”, sono le parole di Francesco:
“Un’amicizia con una donna non è un peccato, un’amicizia. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato. Il Papa è un uomo, il Papa ha bisogno anche del pensiero delle donne. E anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia sana, santa con una donna”.
Desiderio di andare in Cina e di incontrare l’imam di al Azhar
In conclusione, il Papa spiega il suo desiderio di incontrare l’Imam di al Azhar, di recarsi in Cina, e poi ripercorre la grande ricchezza, storia, gioia e anche fede del popolo messicano, da capire attraverso “il fatto Guadalupe”. La Madonna è lì, dice il Papa che molto l’ha pregata, per il mondo, per chiedere la pace:
“Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho chiesto per il popolo messicano anche; una cosa che ho chiesto tanto è che i preti siano veri preti e le suore vere suore e i vescovi veri vescovi, come il Signore ci vuole”.
E tutto il resto è segreto, conclude Francesco, come “le cose che un figlio dice alla Mamma”.
Papa: con Kirill incontro tra fratelli. Dichiarazione congiunta è pastorale
13 febbraio 2016
2016-02-13 Radio Vaticana
“E’ stata una conversazione di fratelli”. Così il Papa commentando l’incontro a L’Avana con il Patriarca di Mosca Kirill. Prima tappa del suo 12.mo viaggio apostolico internazionale. Francesco ora è già in Messico, ma parlando con i giornalisti sul volo papale per il trasferimento da Cuba ha condiviso lui stesso i sentimenti per questo storico incontro iniziato con un abbraccio e culminato dopo circa due ore di colloquio, in una dichiarazione congiunta. Francesco ha anche ringraziato il presidente Castro per l’accoglienza e la disponibilità. Sull’incontro con Kirill ascoltiamo la voce del Papa nel servizio di Massimiliano Menichetti:
“Io mi sono sentito davanti a un fratello, e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese, e secondo, sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”.
Il Papa ha ribadito la libertà dell’incontro lodando la capacità dei due traduttori e spiegando che si è trattato di un colloquio a “sei occhi” perché presenti anche il metropolita Hilarion e il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Francesco ha spiegato che si è parlato di un programma di “possibili attività in comune” perché ha detto “l’unità si fa camminando”:
“Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, ma verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando: camminando, che almeno il Signore, quando verrà, di trovi camminando”.
Centrale la dichiarazione congiunta firmata dopo l’incontro il Papa ne ha spiegato il senso:
“Ci saranno tante interpretazioni, eh?: tante. Ma non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale, incluso quando si parla del secolarismo e di cose chiare, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose. Ma è ‘pastorale’: due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale. E io sono rimasto felice”.
Sentito il ringraziamento per il presidente Castro per l’accoglienza e la disponibilità ricevuta:
“Avevo parlato con lui di questo incontro, l’altra volta, ed era disposto a fare tutto e abbiamo visto che ha preparato tutto per questo”.
Poi l’augurio di buon lavoro ai giornalisti del seguito papale, preparandosi come ha detto ai “23 km di Papa mobile” che lo attendono a Città del Messico.
Testo integrale delle parole del Papa sull’aereo
Buonasera. Io credo con la Dichiarazione che voi avete, avete lavoro per tutta la notte e per domani pure, no? Per questo non facciamo domande e risposte. Ma sì dirvi i miei sentimenti. Prima di tutto, il sentimento di accoglienza e di disponibilità del presidente Castro. Io avevo parlato con lui di questo incontro, l’altra volta, ed era disposto a fare tutto e abbiamo visto che ha preparato tutto per questo. E ringraziare per questo. Secondo: con il Patriarca Kirill. E’ stata una conversazione di fratelli. Punti chiari che a tutti e due ci preoccupano: ne abbiamo parlato. Con tutta franchezza. Io mi sono sentito davanti a un fratello, e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese, primo; e, secondo, sulla situazione del mondo, delle guerre, guerre che adesso rischiano di non essere tanto “a pezzi”, ma che coinvolgono tutto. Della situazione dell’ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso … Ma, io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore. Lui parlava liberamente e anche io parlavo liberamente. Si sentiva la gioia: i traduttori erano bravi, tutti e due. E stato un colloquio “a sei occhi”, no?: il Patriarca Kirill, io, Sua Eminenza il metropolita Hilarion e il cardinale Koch, Sua Eminenza, e i due traduttori. Ma con tutta libertà. Parliamo noi due, gli altri se si faceva qualche domanda. Terzo, si è fatto un programma di possibili attività in comune, perché l’unità si fa camminando. Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, ma, verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando: camminando, che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando. Poi abbiamo firmato questa Dichiarazione che voi avete in mano: ci saranno tante interpretazioni, eh?: tante. Ma se c’è qualche dubbio, padre Lombardi potrà dire il vero significato della cosa. Non è una dichiarazione politica, non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale, incluso quando si parla del secolarismo e di cose chiare, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose. Ma è ‘pastorale’: di due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale. E io sono rimasto felice. Adesso mi aspettano 23 km di papamobile aperta …
Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro: fate quello che potete, eh? Grazie tante, grazie. Grazie.